Inaugurazione panchina gialla dedicata a Giulio Regeni

Il ricercatore italiano ucciso in Egitto, vittima anche dei giochi di sistema della politica italiana e internazionale. I quattro indagati, probabilmente saranno condannati, ma il regime di al Sisi continuerà a governare tra repressione e terrore

Nel truce sequestro e sadico omicidio di Giulio Regeni, per il quale è in corso il processo solo italiano con imputati contumaci e governi del Cairo e di Roma latitanti, rivengono a galla molteplici fattori. I conosciuti e svelati depistaggi delle istituzioni egiziane, gli imbarazzati silenzi di quelle italiane, le ambigue presenze attorno allo speranzoso ricercatore: la tutor dell’università di Cambridge, l’amica cairota, un coinquilino avvocato, il losco sindacalista degli ambulanti (sui quali il dottorando raccoglieva dati) che l’avrebbe venduto ai mukhabarat della ‘National Security’. Di tutto si è scritto in questi anni. Da settimane ne dibatte la magistratura di Piazzale Clodio, osservando qualche aggiuntiva prova e reperto che gli inquirenti del nostro Paese sono riusciti, non senza difficoltà, a raccogliere in otto travagliati anni di rincorsa delle indagini.

Paolo Gentiloni con Abd al-Fattah al-Sisi

Spuntano anche ulteriori tracce, testimonianze solo di parte italiana di quegli agenti impiegati in trasferte d’investigazione, appunti presunti e/o taroccati perché in quest’omicidio politico dal sapore d’intrigo gli elementi che certamente possono aiutare il dibattimento non sopravanzano le uniche due certezze assolute: lo spietato assassinio del giovane, dopo il suo sequestro e le sevizie infertegli dall’Intelligence al servizio del presidente Abdel Fattah al-Sisi, inseriti nel clima repressivo che già nei tre anni precedenti quel dannato 25 gennaio 2016, aveva prodotto centinaia di assassini di oppositori al regime. Oppositori considerati un pericolo per la sicurezza della nazione. Una sicurezza presunta e suggellata da leggi d’uno Stato che ha azzerato e incarcerato l’opposizione, seminando terrore e morte per le strade delle maggiori città d’Egitto. Questa repressione, proseguita dopo il delitto Regeni e tuttora in atto, impediva e impedisce manifestazioni di piazza, libera informazione, tormentava e tormenta, incarcerava e incarcera attivisti, sindacalisti, giornalisti, docenti, avvocati dei diritti, membri della società civile, funzionari di strutture internazionali addirittura costole delle Nazioni Unite.  

Abd al-Fattah al-Sisi con Matteo Renzi

Davanti a tale desolante panorama nessuno s’è mosso, né prima né dopo questi omicidi. Che sono potuti  proseguire con sparizioni di giovani come Giulio di cui non s’è chiesto conto, dimenticandone la stessa identità. Riguardano gli scomparsi del Cairo e dintorni. I più “fortunati” fra i perseguitati sono finiti nelle tetre galere, qualcuno come Patrick Zaki ha sofferto ma è uscito dal circolo vizioso di arresto-scarcerazione-nuovo arresto ad libitum. Altri, seppur noti come Alaa Abd el Fattah, scontano anni di reclusione. Il caso Egitto non è certamente l’unico che evidenzia la meticolosa e preordinata criminalità statale. E’ un grave caso politico e geopolitico e mentre il primo elemento viene scansato dal sistema internazionale, il secondo diventa l’alibi per far finta di nulla poiché quel Paese e il suo discusso leader sono protagonisti della cronaca mondiale. Ieri con la creazione del fronte autoritario nel mondo arabo, oggi con le trattative per la crisi di Gaza. Sisi serve alla geopolitica armata e diplomatica, il suo operato interno non può venire né contestato né indagato.

Giorgia Meloni e Abd al-Fattah al-Sisi

Di fronte all’assassinio di Regeni i giudici – solo italiani perché i colleghi del Cairo controllati dal regime si esentano dal procedere e collaborare per quel reato – seguono la via giudiziaria che non può essere politica. Ma la politica italiana, quella internazionale potrebbero indirizzare i propri occhi, le mani, le finanze – come peraltro fanno in altre occasioni – contro chi rompe la convivenza, chi non si presta a rapporti democratici, chi segue unilateralmente suoi disegni più o meno criminali. Eppure guardandosi attorno quest’approccio non esiste da tempo. E i tempi peggiorano. Ai familiari di Giulio, agli attivisti di sostegno alla sua memoria in cerca di giustizia forse il processo offrirà la condanna dei poliziotti sicari (Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahi), ma il regime è destinato a farla franca assieme al presidente al Sisi sorridente e sodale della nomenclatura italiana recente e attuale.  

Di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022

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