Una scena della pièce teatrale "Sissi l'imperatrice". Credits: Gianmarco Chieregato

Al teatro Parenti di Milano è di scena Elisabetta d’Austria, detta Sissi, rivisitata nella pièce teatrale la cui tournée proseguirà fino al 6 aprile

Romanzi, biografie, film, fiction televisive, cartoni animati. Eisabetta d’Austria, la leggendaria Sissi, è una figura che continua ad affascinare. Tra leggenda, mito e storia. A togliere il velo fasullo della favola bella proposta nei celebri film di Ernst Marischka (1955) con protagonista una giovane Romy Schneider, che  avevano impresso nella mente di intere generazioni un ritratto di Sissi edulcorato, ridotta a stereotipi di felicità e di capricciosa malinconia, è stato nel 202. Il corsetto dell’imperatrice, scritto e diretto da Marie Kreutzer, con una incredibile Vickie Krieps, che racconta una Sissi inedita. Una donna indipendente, in contrasto con le convenzioni della sua epoca, alla costante ricerca di libertà. E quel corsetto che portava allacciato fino quasi a toglierle il fiato è diventato il simbolo di una prigione esistenziale e di ruoli da cui invece paradossalmente Elisabetta tenta invece di liberarsi in tutti i modi. In  preda a una inquietudine che la spinge sempre al di fuori dei luoghi, delle situazioni e delle regole sociali che la soffocano, sempre in viaggio, alla ricerca spasmodica di una via di fuga.

Sorprendente rivisitazione della vita di Elisabetta d’Austria, in cui squarci violenti di modernità irrompono sulla scena, è adesso la nuova pièce teatrale Sissi l’imperatrice, di Roberto Cavosi. A interpretarla e a produrre lo spettacolo è Federica Luna Vincenti, che incarna una Sissi moderna, anticonformista e profondamente tormentata. Dopo la prima nazionale, tenutasi al Teatro degli Illuminati di Città di Castello, lo spettacolo ha fatto tappa al Teatro Parenti di Milano, accolto calorosamente dal pubblico, per poi proseguire la tournée fino al 6 aprile.

Un’altra scena della pièce teatrale “Sissi l’imperatrice”. Credits: Gianmarco Chieregato

“Non volevo solo rappresentarla, ma farla vivere, darle una nuova esistenza, più vicina al nostro tempo. Sissi ha cercato disperatamente di vivere secondo le proprie regole. Vorrei che lo spettatore uscisse con questa consapevolezza: che non bisogna avere paura di essere diversi, inquieti, in cerca di qualcosa di più grande”, ha spiegato Federica Luna Vincenti, 41 anni, pugliese di Parabita, in provincia di Lecce, diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico,” un figlio di 19 anni, Gabriele, nato dal matrimonio con Michele Placido ma anche Il dolore immenso per la perdita della figlia al settimo mese di gravidanza. Artista dal talento poliedrico, attrice, cantante, compositrice, produttrice (nel 2004 fonda  la Gol-denart Production, con la quale produce numerosi spettacoli teatrali, lungometraggi e cortometraggi, con una squadra tutta al femminile). Al suo fianco un cast di tutto rispetto: Ira Nohemi Fronten, nel ruolo di Katharina Schrat, assoldata dalla imperatrice come amante di Francesco Giuseppe; Claudia Marsicano, la limatrice; Miana Merisi nel ruolo di Fanny Angerer, la parrucchiera di corte, e Milutin Dapčević, il medico. Light designer Gerardo Buzzanca. Musiche  firmate dal suo Oragravity (ovvero Umberto Iervolino e la stessa Federica Luna Vincenti). I costumi di Paola Marchesin sono stati realizzati da Tirelli, sartoria da abiti da Oscar (Il Gattopardo, uno per tutti).

Roberto Cavosi, autore del testo nonché regista, ha scandagliato nei diari e nelle poesie a cui Sissi affida i tormenti dell’anima e gli stati d’animo, ispirandosi al suo poeta preferito Heinrich Heine che definiva “maestro. Fu l’imperatrice in persona ad affidarli, nel suo testamento  “alla cara anima del futuro”  per essere pubblicati non prima ma non prima di sessant’anni dal 1890 “a beneficio dei condannati politici più meritevoli e dei loro familiari bisognosi. Anche fra sessant’anni, la felicità e la pace ovvero la libertà continueranno infatti a non essere di casa su questo nostro piccolo pianeta così come non lo sono state ai miei tempi”. Sceglie di firmarsi con il nome di Titania perché amava il dramma shakespeariano di Sogno di una notte di mezza estate, in cui la protagonista è Titania la regina delle fate. Nel 1980, al momento della prima pubblicazione, i diritti d’autore vennero devoluti al Fondo di Soccorso dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati e i ricavi nell’edizione successiva furono donati ad Amnesty International.

Si deve desiderare tutto, essere indifferenti a tutto, scrive nei suoi diari. Visse infelice, inquieta e tormentata, nello sfarzo e nell’inquietudine, costantemente in fuga dalla rigida corte di Vienna. La morte si era fatta attendere alla fine era venuta, quando fu assassinata sul lago di Ginevra il 10 settembre 1898  dall’anarchico italiano Luigi Lucheni, che la uccise colpendola al petto con una lima usata come pugnale.

Tutta l’azione scenica si svolge in una sorta di palestra, la stanza in cui Elisabetta trascorreva la maggior parte del tempo (si faceva attrezzare una palestra con anelli sbarre, pertiche e pesi in ogni palazzo reale nel quale si trovasse a soggiornare). Sissi appare in trono,  un trono ridicolizzato e trasformato in seggiolone-scranno da arbitro di tennis. Esibisce un volto in maschera come un Pierrot Lunaire, lo sguardo beffardo, sprezzante, ha in testa una calotta nera per parrucca, un corpetto nero da palestra legato molto stretto con cordini in seta, calzamaglia e pantaloni in jersey di seta, stivaletti. Sul pavimento gabbie colme di scarpe, oggetti, ricordi e fogli di appunti e note poetiche. In preda ad un’estrema consapevolezza, quasi agghiacciante, un’ombra di follia e di morte traversa il suo sguardo.  

In un’ora e mezza circa gli spettatori si ritrovano scaraventati in un cabaret espressionista di inizio Novecento, in giochi cromatici e di contrasti fra toni freddi e pungenti. In un crescendo del registro grottesco, volutamente esagerato, che stride- come suoni dissonanti- con il ritratto che man mano si compone mettendo in luce una donna che non può che colpirci nel profondo. Ribelle, anticonformista, amante della libertà, in conflitto con le rigide convenzioni della corte asburgica, da lei definita “una schiatta depravata”. Antimperialista e disgustata delle  atrocità delle guerre che vedeva intorno a lei, vicina alle masse operaie, alle minoranze etniche, contraria ad ogni forma di sopraffazione e oppressione. Una donna dal feroce sarcasmo e al contempo di grandi malinconie. Una donna che aveva dentro una voragine di dolore. Il più profondo, quello della perdita di due figli: la femmina primogenita Sofia (durante un viaggio in Ungheria, piccola Sofia, che aveva due anni, si ammalò gravemente e morì. Sissi era distrutta. Addossandosi tutta la colpa) e poi l’unico maschio, Rodolfo, suicida. E poi le drastiche diete ,le estenuanti sedute di ginnastica, la sfiancante allacciatura del corsetto, dentro cui Sissi si fa costringere dalla cameriera con una furia piena di un compiacimento autolesionista, fino a non respirare. Tra  paranoie e rituali di bellezza estremi ai limiti dell’ossessione. La cura maniacale per i suoi detestati capelli (“miei capelli sono la mia prigione, il mio corpo il mio tormento”). Intenta a  sorvegliare con narcisistica attenzione i suoi 45 centimetri di vita. Ossessionata dalla cura del corpo che per lei non era solo vanità e ricerca di perfezione ma un campo di battaglia dove esercitare un controllo estremo. Voleva diventare aria. Il pensiero di Elisabetta si dipana in sei quadri,  attraverso dialoghi spesso serrati dalla filosofia al sesso, dalla politica all’arte, con la la parrucchiera confidente Fanny impegnata a pettinare una parrucca  invece de i capelli, lunghissimi, che arrivarono a sfiorare le caviglie e che richiedeva tre ore di lavorazione ogni giorno. Pesavano 5 chili e le procuravano forti emicranie, tanto che prima di andare a letto le venivano appesi a un lampadario per alleviare il mal di testa. Con la limatrice incinta che partorirà in scena un elmetto, ad evocare i figli dei poveri usati come carne da macello dall’Impero asburgico;  l’attrice  Katharina Schratt, a cui affida il compito di sedurre  Francesco Giuseppe, liberata così dai suoi doveri coniugali.

A  questi dialoghi fanno da contrappunto proiezioni video che sono anche proiezioni di un animo tormentato, dalla cupa marea di ombrellini dietro a cui si nascondeva, ai volti impauriti di soldati maciullati dalla guerra imperialista. La sua storia si mescola quella di un impero destinato a scomparire, a tempo di walzer (“è la figura più affascinante di una decadenza, di una rovina”: con queste parole il grande filosofo Emil Cioran descrisse Elisabetta d’Austria). C’è la Storia, sì, ma soprattutto il nostro modo di guardarla a ritroso, cercando di leggerla con gli occhi e i codici del tempo corrente .

La prova attoriale è convincente e appassionante, con la protagonista Vincenti che offre una recitazione matura, diretta e decisa, fra rabbia e dolore, carica della fredda consapevolezza del dolore e di quel cinismo e quel disincanto che come scriveva Emil Cioran, grande estimatore di Sissi, era una forma di maschera dell’ infelicità inseparabile dalla malinconia. Tuttavia, sempre più perplessi ci avviamo al finale: pur apprezzando l’intento di decostruire gli stereotipi cuciti addosso alla sua figura, a non convincerci è la scelta registica di insistere  sul registro tragicamente   grottesco-dark,  privando la figura dell’imperatrice  di quella complessità che proprio la rilettura intende perseguire. Dopo l’insopportabile immagine zuccherosa di Romy Schneider, perché adesso accanirsi così crudelmente in una maschera  grottesca?  Ancora una volta Elisabetta resta tragicamente imprigionata invece di lasciarla vivere  nella sua enigmaticità. Un vero peccato. Ma nel finale tutto converge in un’alta sintesi drammatica ed emotiva: il dottore le slaccia lentamente il corsetto macchiato di rosso, proprio quel corsetto  talmente stretto  servì  per pochi attimi a contenere l’emorragia interna e  aveva in qualche modo sostenuto il cuore. Sissi spira.  Con questa immagine  di antica tragedia d antica chiude lo spettacolo su un’imperatrice gabbiano. “Un gabbiano di Nessun dove io sono, nessun lido considero mia patria, nessun luogo, nessun posto a sé mi lega; è di onda in onda invece che io volo”, cos’i scriveva nel suo diario.  Solo le “anime del futuro“ l’avrebbero capita, pensava.

Di Cristina Tirinzoni

Giornalista professionista di lungo corso, ha cominciato a scrivere per testate femminili (Donna Moderna, Club 3, Effe, Donna in salute). E’ stata poi per lungo tempo redattore del mensile Vitality e del mensile Psychologies magazine e Cosmopolitan, occupandosi di attualità, cultura, psicologia. Ha pubblicato le raccolte di poesie Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore, 2014) e Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni, 2010).

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