Mario Schifano-Gianni Malabarba, Pittura e poesia

La grande amicizia tra l’artista, scomparso nel ’98, e il collezionista Malabarba è raccontata nella inedita mostra visitabile fino al 17 aprile 2025, alla galleria BKV-Fine Art di Milano, uno degli spazi espositivi più raffinati e scenografici della città

Ci sono affinità elettive fra persone diversissime di carattere che irrompono nel modo più  imperscrutabile. E l’arte, la passione per l’arte,  possiede la capacità unica di stimolarne l’incontro e  l’attrazione fatale germinatrice di fertile dialogo e di straordinaria creatività. E’ quello che ritroviamo nel sodalizio artistico ed umano fra Mario Schifano, l’artista degli eccessi con i golfini attillati e i jeans a zampa di elefante sdruciti, sempre accompagnato da donne bellissime e il riservato collezionista e poeta Gianni Malabarba, appassionato di arte moderna. Caratterialmente diversissimi. Eppure con tante affinità. Nella Milano degli anni ’60 intrecciano un legame fatto di amicizia, ispirazione, scambio creativo che va ben oltre il semplice legame professionale fra artista e collezionista. Il poeta collezionista inviava infatti i suoi componimenti poetici a Schifano incoraggiandolo a “tradurli” sulle tele. L’artista ispirato trasformava la parola poetica in immagine visiva, con pennellate di colore, restituendo nuove suggestioni.  

Un’altra sezione della mostra Mario Schifano-Gianni Malabarba

A raccontare questa storia affascinante di amicizia d’arte poco conosciuta oggi è la mostra  Mario Schifano – Gianni Malabarba. Pittura e poesia, a cura di Marco Meneguzzo, e realizzata in collaborazione con l’Archivio Mario Schifano, visitabile fino al 17 aprile 2025, alla galleria BKV-Fine Art di Milano, uno degli spazi espositivi più raffinati e scenografici della città (un piano interrato con una biblioteca ricavata da un’antica farmacia del XVII secolo e un biliardo inglese del 1800 con panno rosso – un camino con pannelli in legno scuro). Un progetto raffinato che occupa  le sale di via Fontana 16 con 73 opere presentate per la prima volta al pubblico appartenenti alla collezione della famiglia Malabarba. Un’occasione unica non solo per riscoprire un sodalizio artistico ed umano poco conosciuto, ma anche  un dialogo straordinario tra pittura e poesia che si fondono in un unico respiro creativo. Una sintesi delle arti che  trova in Schifano sperimentatore un interlocutore ideale, rivelando inaspettatamente in queste opere pittoriche una dimensione intima  e più concettuale, custodita gelosamente nel suo animo inquieto. Un corto circuito fra parola, visione e sentimento. Una felicità creativa.

Ma procediamo con ordine. Al  piano terra ci accoglie subito la sagoma dell’artista che prendere forma sul pavimento della galleria. Prolungamento della stampa fotografica ai sali d’argento su carta baritata “Disastro domestico”, prima metà degli anni ’70. Pantaloni stesi a terra, sul pavimento ma senza il corpo dentro, sneakers, una maglietta con la scritta Schifano, un televisore portatile al posto della testa. Il proprio autoritratto, fotografato si presume proprio durante una di queste viste alla casa di Malabarba, con quella sgranatura della carta fotografica ad alto contrasto tipica degli anni ’70. E’ poi presente una selezione di opere su carta inedite divise per temi, fra cui “Futurismo rivisitato”  dove “rivisitare” per Schifano significa prendere una fotografia famosa, quella scattata nel 1912 a Parigi in occasione della prima mostra futurista fuori dall’Italia con Luigi Russolo, Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni e Gino Severini, trasformarla in uno specchio, ridurla a liste e costringerti a riguardarla, con i fantastici 5, resi in sagome di un nero opaco e rosso acceso dai contorni sfumati, in perfetta sintonia con una cultura visiva pop.

Gli scritti, le poesie, i testi della mostra

Al piano superiore sono esposte tre tele emulsionate di Mario Schifano degli anni ’70, ispirate alle poesie che il collezionista Gianni Malabarba mandava all’artista invitandolo a tradurle in opere visive. Simulano la schermo e il nero dei Paesaggi tv, la serie in cui Schifano era più impegnato dai primi anni ’70. Ma, invece delle immagini televisive, sembrano scorrere le parole di Malabarba poeta, restituendo nuove suggestioni. Affissi al muro i numerosi componimenti poetici, dattiloscritti originali di Gianni Malabarba. Sulla parete opposta, sei buste da lettera dipinte da Schifano: l’artista disegnava su qualsiasi supporto, materiali di uso comune come fossero delle tele, anche sulle buste delle lettere che riceveva, opere di piccolo formato sul quale è raffigurato un paesaggio in stile naif, ma che mantengono lo stesso fascino delle sue grandi tele.

L’artista – Di Mario Schifano (Homs, Libia Italiana 1934 – Roma 1998) si è scritto e detto molto. Bello e dannato. Veloce e vorace, per tutto, dalla produzione incessante. Una energia creativa inesauribile e di incessante rinnovamento, operando una contaminazione di linguaggi (fotografia, cinema, televisione, gli smalti industriali). Ancora attuale. E dalla biografia sregolata e vulcanica, avido di esperienze, di contatti, di immagini, di donne e di sostanze stupefacenti. Nato in Libia da genitori italiani, dopo il trasferimento della famiglia a Roma, affianca il padre, archeologo restauratore al Museo Etrusco di Valle Giulia. La sua prima mostra è alla Galleria Appia Antica nel 1959. Con i soldi guadagnati si compra una MG bianca con cui si schianterà contro un palo pochi giorni dopo. Non ha la patente. Abiterà a un certo nello stesso palazzo di via Brunetti  dove vive  la coppia Moravia-Morante e il  giovane Mimmo Rotella. Nel 1962 Schifano ha uno studio a New York in Broadway street, frequenta Andy Warhol (“Se non fossi Andy Warhol vorrei essere Mario Schifano”, dirà il padre della pop art) ed espone con Robert Rauschenberg, Allen Jones e gli altri del New Realism show. La serie di opere, diventate poi mitiche, con le scritte di Coca Cola ed Esso, sono figlie di quel viaggio. Altrettanto importanti i monocromi opere realizzate con smalti industriali di uno o due colori al massimo, applicati su carta da imballaggio e poi incollata su tela dove niente è definito e il colore grondante trasborda e infrange il bordo , dove la carta di imballaggio è incollata sulla tela; i cicli di grandissimo successo, Paesaggi anemici, Paesaggi tv, un nuovo linguaggio artistico: attratto dalla cultura dell’immagine della televisione tra gli anni ’60 e ’70, ha vissuto in uno studio con decine di televisori sempre accesi a volume spento, inondando costantemente il suo spazio visivo con un flusso ininterrotto di immagini. Schifano isola l’immagine da uno schermo televisivo, la cattura scattando una fotografia e la emulsiona sulla tela per poi rifinirla a smalto inserite all’interno della cornice circolare nera di un tubo catodico. Mario Schifano, con incredibile lungimiranza capisce che saremo sempre più immersi nell’immagine. Muore all’età di 64 anni, causa di un infarto nel 1998.

Uno degli angoli della mostra

Il collezionista – Di Gianni Malabarba (1921-1990)  si conosce poco:  un collezionista e poeta schivo, discreto, lontano dai riflettori ma vicino ai protagonisti dell’arte italiana del secondo Novecento. Figlio di una ricca famiglia d’imprenditori tessili, originario della Valsesia, trasferitosi a Milano, iniziò fin da giovanissimo ad interessarsi molto di arte contemporanea, vivendo l’esperienza di collezionista e di “compagno di viaggio” di diversi artisti che animavano l’ambiente culturale milanese degli anni ’50 e ’60 tra cui Piero Manzoni, Emilio Scanavino, Paolo Scheggi, Vincenzo Agnetti, Getulio Alviani, Mario Ceroli e Mario Schifano stesso. Possedeva una collezione imponente e raffinata: quasi quattrocento opere, si dice, tutte rimaste alla famiglia Malabarba dopo la morte della moglie Guglielma (Mina) Calamari. Abbiamo approfondito il ritratto con Giovanni Calamari, regista, scrittore, sceneggiatore, nipote di Gianni Malabarba

Un ricordo dello zio in una immagine.

Andavo spesso a trovarlo nella sua casa studio di via Moscova e mi capitava di vederlo impegnato al telefono mentre conversava con i suoi amici appassionati d ‘arte, muoversi tra gli Achrome di Manzoni, accatasti in corridoio e le tele emulsionate di Schifano appoggiati sui divani. Gli portavo i miei piccoli componimenti poetici, li leggeva con attenzione restituendomi consigli. Ricordo di averlo spesso accompagnato da Gio Marconi con il quale aveva avviato un intenso sodalizio artistico. Aveva il dono di creare rapporti umani autentici, intensi e delicati, animato da una costante curiosità amava conversare su tutto e intrattenere giocose dispute d’ arte”.

Collezionista e mecenate

“Non era semplicemente un collezionista che raccoglie opere d’arte per il proprio piacere, sentiva di avere una responsabilità verso l’arte e gli  artisti E aveva il fiuto innato nel comprendere prima di altri il valore di un opera e questo lo spingeva a guardare e a sostenere  diversi i artisti che animavano l’ambiente culturale milanese degli anni ’50 e ’60 e che avevano bisogno di essere conosciuti. Una frequentazione che supera il mero legame collezionistico”.

Malabarba fu anche poeta

Era affascinato dal potere magico della parola di ricreare il mondo. Si arrampicava sulla parola come un alpinista senza corde di sicurezza. Fu amico di Giuseppe Ungaretti  e Mario Luzi. In vita scrisse due raccolte “L’unico significato” e “Il viandante del cielo”, postume furono le raccolte “Fogli sparsi”, “L’amore dentro l’ anima”, “Per passione d ‘arte”, tutte pubblicate dall’amico editore Vanni Scheiwiller. A lui devo l’ avermi avvinto all’intendimento della poesia che mi accompagna ancora oggi nella mia formazione culturale e umana. C’è un inscindibile rapporto tra poesia e pittura sin dall’antichità. Entrambe si esprimono attraverso immagini. Si può dipingere con le parole, basti pensare ai calligrammi di Guillaume Apollinaire o alla poesia visiva futurista”.

Tra queste ve ne è una alla quale è particolarmente legato?

“”A ben guardare”. Me l ha regalata il giorno del mio diciottesimo compleanno. “Non fu perché non volle/Tentò sempre un po’ più al di sotto/Del limite prescritto/Delle condizionanti leggi morali/Poi fu lo sfacelo/Un susseguirsi ininterrotto/di sobbalzi, buche, melmosità/Ma a ben guardare… ” Il bene e il male sono due aspetti dell’animo che tutti abbiamo dentro.  E’ un invito a guardare e a seguire  il cuore e non il marciume  dentro e fuori di noi. E che  lampeggia nei momenti di difficoltà e mi fa tanto bene ricordarlo”.

Di Cristina Tirinzoni

Giornalista professionista di lungo corso, ha cominciato a scrivere per testate femminili (Donna Moderna, Club 3, Effe, Donna in salute). E’ stata poi per lungo tempo redattore del mensile Vitality e del mensile Psychologies magazine e Cosmopolitan, occupandosi di attualità, cultura, psicologia. Ha pubblicato le raccolte di poesie Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore, 2014) e Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni, 2010).

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