Un video diventato virale sui social, pubblicato da Trump sul suo network Truth, ha scatenato polemiche e indignazione sul momento tragico della Striscia di Gaza. Il filmato, realizzato con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, immagina un futuro in cui la regione, oggi teatro di atrocità, si trasforma in una sorta di Las Vegas mediorientale, con grattacieli luccicanti, resort di lusso e turisti in festa. Il filmato ha sollevato critiche feroci da parte delle opposizioni per un’offesa alla realtà piena di macerie e violenza
Non c’era bisogno dell’Intelligenza artificiale per inventare la Gaza sognata da Donald Trump e Benjamin Netanyahu, vip papponi, immortalati sbracati a bordo vasca in un passaggio del dibattuto video virale. Basta andare realmente nella Disneyland delle petromonarchie, le metropoli dai grattacieli stratosferici a picco sulle distese di sabbia del deserto e le acque cristalline del Golfo. Arabico, come amano rimarcare gli emiri sunniti, in faccia alla geografia che lo definisce tuttora Persico. Ma tant’è, i luoghi quelli sono. Dubai, Abu Dabhi, Doha, Manama … Eppure le città delle meraviglie, per i ricconi locali e gli ospiti esteri dai denari male guadagnati, e delle afflizioni per i molti immigrati lì inservienti in una manovalanza iper sfruttata, rappresentano uno scintillio recente, frutto del consumo d’idrocarburi che ha fatto accelerare i motori a scoppio dal boom economico seguito al Secondo dopoguerra. Uno straordinario spaccato di taluni angoli e delle loro trasformazioni lo offre lo straordinario lavoro del giornalista e storico Justin Marozzi, nel suo testo “Imperi islamici”. Un libro da non perdere.

“Tutto ebbe inizio da una perla. Più di settemila anni fa – le date sono tanto offuscate quanto sono limpide le acque del Golfo Persico… gli abitanti dell’Arabia orientale intrattenevano rapporti commerciali con i villaggi più meridionali della Mesopotamia… La pesca, inclusa quella delle perle, diventò la principale fonte di reddito di quelle popolazioni costiere isolate. Quel villaggio era Dubai all’inizio del XIX secolo… Il commercio delle perle possedeva un glossario tutto suo. Nell’arabo colloquiale del Golfo la perla era chiamata lulu, dana, hussah, hasbah. Il gioiello più misterioso era la majhoolah, di grandi dimensioni e non particolarmente bella che conteneva talvolta al suo interno una pietra perfetta più piccola… Inondata dai profitti del fiorente commercio di perle negli anni Venti (del Novecento, ndr) Dubai si arricchì e s’ingrandì… Quindi basato sul credito, che non era più disponibile, il commercio delle perle non poteva funzionare… Tra il 1929 e il 1931 il prezzo precipitò del 75%… Lo sceicco Said firmò un importante accordo per le esplorazioni petrolifere con l’Iraq Petroleum Company britannica. Alla fine degli anni Quaranta, Dubai iniziò a riemergere nell’era moderna… La British Bank of the Middle East aprì i battenti a Deira, sul Creek, in un luogo noto come Times Square, l’edificio si notava per la sua prominente torre del vento sia per il suo gabinetto pubblico più visibile di Dubai… La maggior parte dei gabinetti privati non erano che buchi nel terreno… L’aeroporto fu inaugurato il 30 settembre 1960, con tanto di duty-free, un altro simbolo eloquente della politica del laissez-faire di Dubai… Il dominio globale della Gran Bretagna, praticamente in bancarotta dopo due guerre mondiali, diminuiva tanto quanto cresceva quello americano… Comunque nel 1971 col sostegno britannico vennero creati in tutta fretta gli Emirati Arabi Uniti, Dubai era uno dei sei, poi diventati sette (con Abu Dhabi, Sharjat, Ajman, Umm al Qawayn, Fujairah, Ras al Kaimah, ndr)… Nella graduale diversificazione delle ricchezze derivate dalle entrate petrolifere furono avviate una fonderia di alluminio mentre sorgevano i grattacieli… Il World Trade Center (sì, all’americana, ndr) era una torre di trentanove piani nemmeno dentro da Dubai, sorgeva in una striscia di deserto vuota e infestata dalle zanzare… in seguito la Sheikh Zayed Road, autostrada a dodici corsie, divise due battaglioni di grattacieli in competizione, luccicanti sotto il sole del deserto… Nel 1985 il trentaseienne sceicco Mohammed bin Rashid al Maktum domandò ai suoi colleghi: perché non trasformare la regione in un centro turistico? Ci riuscì. Il parco giochi di arabi e turisti occidentali è stato costruito sulle spalle dei lavoratori più poveri del sud-est asiatico. Un esercito di immigrati pagati una miseria e costretti a vivere in condizioni proibitive, a volte addirittura spaventose, in campi con tanto di guardie armate. Oggi il 71% dei 2,5 milioni di abitanti di Dubai è asiatico… la politica del laissez-faire ha comportato altissimi costi umani… l’intera regione ha attratto un massiccio contrabbando, traffico di armi, tratta di esseri umani, operazioni di riciclaggio, attività che s’intrecciano anche con le reti terroristiche globali…”

“Agli ultimi piani del grattacielo con i suoi uffici a West Bay, come un’aquila nel suo nido, il miliardario Sheikh Faisal bin Qassim al Thani, ricorda i primi giorni di Doha… Quando lui era già nato quello era un piccolo villaggio di pescatori di perle, andò avanti così fino al crollo del mercato negli anni Trenta mentre la rovinosa Seconda guerra mondiale portava distruzione anche da quelle parti quando inglesi e tedeschi affondavano qualsiasi nave in tutto il Golfo… Alla fine degli anni Ottanta, le strutture più alte della città erano i minareti. L’unico edificio degno di attenzione era lo Sheraton Hotel, una piramide di quindici piani, costruito in un terreno bonificato nel 1982. Se una volta si stagliava sola sul mare, oggi è messa in ombra da una foresta pietrificata di grattacieli in vetro e metallo, progettati da famosi <archistar>. Spicca tra tutti il Burj Doha (alto 232 metri) costato 125 milioni di dollari e inaugurato nel 2012, interamente rivestito di uno schermo in alluminio e acciaio inossidabile con motivi intricati che fungono da protezione solare; la sua forma fallica corrisponde a quella che i francesi chiamano une virilité pleinement assumé, tant’è che l’edifico fra la gente del luogo è noto come il Preservativo… Sebbene la famiglia al Thani si dica favorevole a un diverso sviluppo urbano, sostenendo strettamente i valori islamici, gli abitanti del Qatar pensano che si stia percorrendo la stessa strada di Dubai… se si lavora a Doha si ha spesso la sensazione di vivere in un gigantesco cantiere… e tutta la fortuna che fra i confratelli-coltelli scaturisce dai petrodollari nella ‘baia occidentale’ proviene del gas, rafforzata dall’enorme diffusione che dagli anni Settanta questo combustibile ha avuto per l’energia globale… Il più grande giacimento di gas del mondo entrò in produzione nel 1991, generando guadagni favolosi, attirando nuove ondate di migranti, finanziando la continua espansione della capitale… Benedetto da questa svolta geologica del destino, o dalla mano divina di Allah, il Qatar utilizzò le entrate per finanziare una politica estera sempre più assertiva, per guadagnare influenza e prestigio… una politica senza pregiudizi stabilendo relazioni anche fra Stati che fra loro si detestano, da Israele all’Iran… E fra investimenti lanciati all’Occidente come ami, impegno d’alto profilo professionale nella comunicazione col fenomeno Al Jazeera il desiderio di farsi notare, sempre e comunque, è enorme. Chi conosce gli al Thani dice “quando Dubai costruisce un grattacielo, qui sentono di dover fare lo stesso. Quando Abu Dhabi crea il proprio Louvre, idem…” L’emulazione è talmente profonda da percorrere le medesime tortuose vie dei crimini dei vicini, così nella preparazione di uno degli ultimi grandi eventi (ma altri bussano alla porta) i Mondiali di calcio ospitati negli stadi qatarioti, ben cinquecento operai sono morti per assenza di sicurezza nel corso delle edificazioni. Ai lavoratori rimasti in vita dopo quell’evento la magrissima consolazione di salari comunque di fame.

“… Quando il geografo francese Vital Cuinet giunse a Beirut nei primi anni Novanta del XIX secolo gustava l’eterno amore cittadino per una chiacchierata davanti a un caffè e la sua passione per il lusso e l’ostentazione, fra cinquantacinque caffetterie e quarantacinque gioiellerie… Bevitori di caffè, amanti degli acquisti, flàneurs e persone alla ricerca del piacere in tutte le sue sfumature erano irresistibilmente attratti da Sahat al-Burj, la piazza più volte ribattezzata a est delle mura della Città Vecchia che rappresentava il cuore della vita pubblica di Beirut, un luogo di svaghi, attività commerciali, e incursioni opportunamente calcolate nel mondo della sensualità o del più assoluto squallore. Su Sahat al-Burj dominava il frastuono di hotel e caffè, chioschi con orchestrine, imprese commerciali, negozi, sale da gioco, compagnie di trasporto, bar e maisons de tolerance… Il quartiere a luci rosse, sorto alla fine del XIX secolo su at Tariq al Mutanabbi, la strada adiacente alla piazza che porta il nome del poeta iracheno del X secolo, venne reso in seguito famoso – anche tristemente – dalla straordinaria carriera di Marca Espiredone, che, arrivata senza un soldo a Beirut nel 1912 come un’orfana greca che aveva subito abusi di ogni sorta, divenne prima una prostituta e poi la patrona, ovvero la madame più bella, celebre e ricca della città, proprietaria della leggendaria casa di tolleranza Marica, in cui lavoravano un centinaio di ragazze pronte a soddisfare i desideri degli uomini ricchi e famosi della Beirut degli anni Quaranta e Cinquanta. Con le insegne al neon che reclamizzavano sfacciatamente le migliori offerte di ciascun bordello – Leila, al Chacra, la bionda, Antoinette, la Francese, Lucy l’Inglese …”
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