Nel centenario della scomparsa della Duse, al Teatro Gerolamo di Milano l’attrice Bergamasco ha dedicato alla grande diva una lettura scenica
La chiamavano la “Divina”. The greatest, come diceva Charlie Chaplin dopo averla ammirata ne La porta chiusa di Marco Praga. Applaudita nei più svariati teatri del mondo durante le sue numerose tournée (Madrid e Barcellona, Pietroburgo e Mosca, Kiev a Odessa, Vienna e Budapest, Praga e Berlino, Londra e New York.), recitando solo in italiano. Perché la sua lingua era quella universale del corpo-anima, fatta di sguardi, gesti, fremiti e silenzi. Le mani intrecciate e gli indici portati delicatamente sulle labbra nel gesto di preghiera. Idolatrata dal pubblico, sedotto dalla sua bellezza dal pallore opaco, “delle palpebre simili a violette”(Gabriele D’Annunzio). Osannata dai critici (beninteso, non non si adeguarono tutti nelle lodi, specialmente sul principio) che celebravano la naturalezza impressionante del suo modo di recitare, un verismo tutto personale, con il suo volto levato in alto, con il suo sguardo un poco assorto, trasfigurato. un gesto frammentato che indugiava sugli oggetti sfiorandoli, carezzandoli. Eleonora Duse aveva ammiratori ovunque: James Joyce, giovanissimo, la conobbe a Londra. A Parigi era famosa quanto Sarah Bernhardt, Auguste Rodin si ispirò a lei per una scultura intitolata Il dolore. e le dedicò una poesia, George Bernard Shaw la descrisse come l’Attrice Assoluta. Sua prima estimatrice fu Margherita Sarfatti. Vanterà tra le sue amicizie donne come Sibilla Aleramo, Matilde Serao, Isadora Duncan. Il principale teatro di Bologna venne intitolato alla Duse ancor vivente (1898). Talmente amata e osannata anche Oltreoceano da finire nel 1923 sulla copertina della neonata rivista Time. Nel tempo, a lei sono state dedicate importanti vie e piazze in molte grandi e piccole città italiane. Un premio importante viene assegnato ogni anno all’attrice che si è particolarmente distinta nella stagione di prosa con uno o più spettacoli, andati in scena in Italia o all’estero: il Premio Eleonora Duse (quest’anno è stata assegnato ad Anna Della Rosa, e ricordiamo nel corso degli anni ad Alida Valli, Giulia Lazzarini, Adriana Asti, Rossella Falk, Franca Valeri, Mariangela Melato, Elisabetta Pozzi, e tantissime altre).

Eleonora Duse (1858-1924) era nata a Vigevano da una famiglia di attori-girovaghi originari di Chioggia. ll debutto avvenne precocemente: a soli quattro anni interpreta Cosetta, la sfortunata bambina deI I Miserabili di Victor Hugo. Un’infanzia tutt’altro che facile sballottata da una città all’altra e con una situazione economica altalenante, e un’educazione scolastica discontinua, per colpa del teatro non la facevano nemmeno sedere accanto alle bambine “per bene“, ma ai piedi della cattedra. Finì per odiare il palcoscenico… Mai quella bambina pensava che era destinata a rivoluzionare la recitazione nel teatro , ispirando intere generazioni di artisti e iscriversi nell’immaginario del nostro tempo. La Divina Duse muore il 21 aprile 1924 a 66 anni, nel corso della trionfale tournée americana, nel letto della sua camera d’albergo di Pittsburgh (Pennsylvania). Dopo la recita de La porta chiusa, aveva dovuto attendere lunghi minuti sotto la pioggia gelata. Prese freddo subentra una polmonite, fatale per un fisico già debilitato anche per via di quel polmone che le mancava. Una stanza d albergo che resta un simbolo di arte senza confini. Il suo ritorno nella bara fu un viaggio trionfale del cui funerale restano straordinarie riprese. Ormai anziano, alla notizia della morte di Eleonora, pare che il Vate abbia mormorato «È morta quella che non meritai»
Un mito che si fa assenza. Un fantasma. Non conosciamo la sua voce (la definivano esile, arrochita, fragile, Ne fece una registrazione affidata a un fonografo Thomas Edison, poi andata perduta in un incendio. Non esistono frammenti delle esibizioni teatrali. Solo poche immagini dell’unico film (muto) cui l’attrice partecipò, nel 1916: «Cenere» di Febo Mari, tratto dal romanzo di Grazia Deledda che la Duse stessa decise di portare sul set. Eppure la Duse continua a ispirare e a influenzare l’arte e la sensibilità contemporanee, come se non fosse mai andata via. Rimangono però lettere, fotografie, articoli di giornali, gli scritti di chi la vide sulla scena: non possono restituirci davvero l’arte di Duse, ci permettono almeno di immaginare com’era questa donna straordinaria sulla scena e nella vita.

Mossa dal suo amore per il teatro, in occasione del centenario dalla scomparsa di Eleonora Duse, Sonia Bergamasco, una delle attrici più talentuose e riconosciute del cinema e del teatro italiano, ha portato al Teatro Gerolamo di Milano ((7/8/9 febbraio) “La Duse e noi. Ritratto plurale di un’artista”, un reading teatrale a partire da una selezione delle più belle lettere a lei indirizzate di chi la vide in scena e la conobbe, nato dal dialogo con la studiosa Marianna Zannoni, che ha curato la pubblicazione di un volume di lettere a lei indirizzate, dal titolo “Illustre Signora Duse” (Marsilio editore). Un lavoro di scavo attingendo al ricchissimo archivio Eleonora Duse, conservato presso l’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Nel 1968 la nipote e ultima erede Eleonora Ilaria Bullough, religiosa domenicana inglese con il nome di Sister Mary of St. Mark decise di donare alla Fondazione Cini tutto quello che ancora possedeva della nonna materna: cinquecento quelle scritte da Eleonora Duse a diversi corrispondenti e circa un migliaio quelle ricevute, libri, molti copioni, alcuni dei quali autografi dell’attrice diversi bellissimi abiti, mobilio e molti oggetti personali.
Un lavoro di scavo, dicevamo. Una lettura scenica, appassionata e, a tratti anche commovente. Sul palco del teatro Gerolamo con le poltroncine dall’imbottitura morbida in velluto verde della platea, due ordini di palchi e un loggione, un piccolo gioiello dell’architettura teatrale dell’Ottocento, c’è è solo Sonia Bergamasco, semplice nel suo lungo abito verde fluttuante davanti ad un leggìo. Ai lati un raffinato ed elegante fascio di rose bianche, in segno di ringraziamento, con un profondo senso di gratitudine (“Perché la Duse è stata un’apripista per tutte noi”) a nome di tutti “gli stregati” dalla Duse. Richiamando forse (chissà) quelle rose bianche che la Duse aveva acquistato al mercato (maggio 1873) prima di impersonare appena quindicenne Giulietta all’Arena di Verona (per un caso fortuito aveva dovuto sostituire la madre ammalata), dove, raccontava “per la prima volta senti l’onda d’urto arrivare dal pubblico e s’innamorò del teatro. E fui Giulietta“. Fece di testa sua, di istinto, prese quelle rose e ne lasciò cadere uno ai piedi di Romeo al momento del primo incontro; ne sfogliò un altro sul suo capo nella scena del balcone e alla fine, ricopri il cadavere. La donna, l’artista, l’amica, la rivoluzionaria, la creativa, la spirituale: sono tanti i volti di Eleonora Duse che emergono da lettere, una infinità di lettere, che Eleonora Duse ricevette da attrici sue colleghe, da registi, drammaturghi, scrittrici e stilisti che la stimavano e le riconoscevano il grande talento recitativo. Eleonora traspare e appare da ogni lettera. Soffriamo ancora oggi nel pensare che oltre settecento lettere di Gabriele D’Annunzio alla Duse siano state bruciate da sua figlia Enrichetta. Settecento lettere d’amore di D’Annunzio? Riusciamo a immaginare?