L’artista marocchina Bennani nella sua opera “For My Best Family” esposta alla Fondazione Prada, fino al prossimo 24 febbraio) esplora i modi di stare insieme in contesti sociopolitici rappresentandoli in chiave pubblica o intima
Negli spazi della Fondazione Prada, 192 infradito e sandali in gomma, babouche marocchine, flip flop, tutte diverse tra loro, ornate di fronzoli colorati e vivaci, prendono vita per un «balletto-sinfonia-rivolta». Distribuite in due «orchestre», due sculture spiraliformi e un’isola centrale, animate grazie a un complesso sistema pneumatico, saltano, ballano, applaudono, marciano, si ribellano, respirando ed emettendo suoni, percuotendo basi di legno, metallo o vinile plexiglass e vetro, producendo ogni volta rumori diversi. Sono le protagoniste della gigantesca e stravagante installazione meccanica site specific Sole Crushing (che sarà visitabile fino al 24 febbraio 2025) di cui è autrice l’artista multimediale Meriem Bennani che interroga lo stare insieme nella società contemporanea, utilizzando un oggetto all’ultimo gradino della catena della moda che qui è stato invece valorizzato. Il progetto che ha richiesto due anni di lavoro e che insieme al film di animazione For Aicha, va a comporre la mostra “For My Best Family” è stato infatti commissionata proprio dalla Fondazione Prada che, dalla sua nascita, mira a mettere le artiste e gli artisti nelle condizioni di poter produrre i loro progetti, quelle idee rimaste nel cassetto e mai messe in atto.
«Ho pensato molto a cosa succede quando ci si trova nella folla. In tanti momenti differenti, come in uno stadio, nel mezzo di una protesta, ad un concerto. Le persone cantano, battono le mani. Come fanno a sapere quando cominciare a batterle? È come se fosse una reazione viscerale scatenata dal trovarsi dentro la società, una specie di famiglia. Ci comportiamo in modo diverso. Si crea una grande energia, qualcosa di viscerale crea un ordine nuovo basato sul ritmo», ha spiegato l’artista. Meriem Bennani , classe 1988, è nata in Marocco, si è laureata alla Cooper Union e all’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs di Parigi e poi è emigrata a New York. I i suoi lavori- che mescolano vari linguaggi, video YouTube, reality tv, documentari, soap opera e animazione, sono state esposte al Whitney Museum, al MoMA PS1, al Guggenheim Museum, alla Julia Stoschek Collection di Berlino, alla Fondation Louis Vuitton di Parigi, al Nottingham Contemporary, alla Renaissance Society di Chicago e alla Kamel Lazaar Foundation di Tunisi. «Volevo creare una “conversazione” tra queste infradito. Una ciabatta può arrabbiarsi, l’altra le risponde. Una ciabatta può essere triste, o addirittura zittirsi. L’altra le re-infonde la carica, oppure le risponde a tono. In questo continuo alternarsi di consonanza e dissonanza di reazioni, come se si trattasse di un ballo rituale collettivo o una marcia di protesta. L’andare a ritmo, a tempo, “respirare insieme” è ciò che più di ogni altra cosa ci fa percepire questa unione».
A muovere le infradito è un complesso sistema pneumatico, dove l’aria svolge una funzione primaria per garantire l’animazione dell’installazione. Quando ad una parte del coro di ciabattine viene indirizzata tutta l’aria per far colpire loro i pedali, l’altra parte viene privata di questa stessa aria rimanendo “senza fiato”.
La colonna sonora di quarantacinque minuti è stata composta dall’artista insieme al produttore musicale Reda Senhaji, noto come Cheb Runner «Non potevo prescindere da quello che è il suono della mia terra e il desiderio di collegarmi alla tradizione della mia famiglia», racconta ancora Meriem Bennani. «Si è sempre fatta musica con quel che si aveva. Spesso ci si trovava in soggiorno e ci si metteva a fare musica con tutti gli oggetti da cucina a disposizione, come le tazze, il tavolo, un secchio, i cucchiai,, al secchio che è quello che da il via a qualunque tipo di improvvisazione strumentale»
L’installazione fa parte di un progetto più ambio, come si diceva, e dal film d’arte «For Aicha», diretto dall’artista con la regista e documentarista Orian Barki. Ambientato tra New York, Rabat e Casablanca. Protagoniste sono figure antropomorfe dalla testa di sciacallo, realizzate con la tecnica dell’animazione 3D, che incarnano i personaggi. La protagonista è Bouchra, filmmaker marocchina che vive a New York , dove sta realizzando un film autobiografico sulla propria omosessualità, con un rapporto difficile con sua madre Aicha, cardiologa che vive a Casablanca. Per nove anni dopo il coming out della figlia, le due non ne hanno mai parlato. Solo negli ultimi minuti del film, finalmente madre e figlia sono a cena e hanno un primo vero dialogo. «Non è documentario e non è fiction. Non è un film sull’omosessualità nel mondo arabo. È un film sull’imparare ad accettarsi l’uno con l’altro. È un tema che tocca tutti». L’ultima scena vede i parenti della protagonista (non gli “attori”) riuniti finalmente intorno ad un tavolo. Cantano, ridono – persino la madre, con un po’ di imbarazzo – e la zia di Bouchra commenta la sua gioia con una frase semplice: «I am with my best family». Ascoltare significa piegarsi avanti e indietro, dice ancora la zia di Bouchra. Solo mettendoci nella disposizione d’animo a cui porta l’ascolto, piegandoci avanti e indietro, come le canne di bambù, flessibili, pronti, sensibili, possiamo sperare di ritrovare noi stessi, e facendolo, gli altri.
Evento aperto fino al 24 febbraio 2025
Fondazione Prada
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