Donne e bambini davanti a un forno a Kabul

In questi ultimi anni di lotte, governi travagliati il mondo che governa le finanze del pianeta promuove le politiche economiche di Kabul. La World Bank Group scrive che, nonostante la mancanza di domanda di beni e servizi nei settori pubblico e privato, sebbene i consumatori si mostrino riluttanti verso gli acquisti in previsione di ulteriori cali di prezzi, si registrano opportunità di lavoro per centinaia di migliaia di persone nel settore minerario, agricolo, infrastrutturale, artigianale, puntando anche sull’occupazione casalinga

Un rapporto della Banca Mondiale sull’attuale situazione dell’economia afghana quasi promuove l’emirato talebano rispetto alla nazione guidata da un elemento che proprio l’agenzia specializzata dell’Onu aveva formato: Ashraf Ghani. In virtù di tale orientamento un altro palazzo di Washington – la Casa Bianca – spinse Ghani verso la presidenza, visto che l’epoca del clan Karzai si concludeva sotto l’effetto di intrighi personali e familiari (scandalo della Kabul Bank e morte violenta d’un fratello narcotrafficante protetto dalla Cia). Correva il 2014 e per la cronaca il percorso presidenziale di Ghani fu travagliato. Sebbene il suo ceppo tribale, gli Ahmadzai, avessero il benestare di altri clan pashtun, il rivale Abdullah Abdullah – padre pashtun, madre tajika – alla prima elezione gli diede filo da torcere, calamitando le preferenze dell’etnìa tajika alla quale apparteneva un Signore della Guerra considerato un eroe nazionale: Ahmed Massud. Ghani, nonostante il pedigree griffato Banca Mondiale e il benestare di Barack Obama, trovò difficoltà nel praticare quella modernizzazione del Paese a suon di progetti pubblici e privati (dal Qosh Tepa Canal al gasdotto Tapi), alcuni proseguiti dopo il suo abbandono, altri congelati per interferenze internazionali. Forse per iper realismo, forse per disperazione nell’ultima fase della sua seconda presidenza Ghani cercò un contatto diretto coi turbanti, anche perché gli Stati Uniti brigavano per la propria ‘exit strategy’, ma il Gotha talebano lo snobbò. Loro trattavano coi suoi padroni, non tanto la Banca Mondiale quanto lo Stato Maggiore e la presidenza statunitensi; al “fantoccio di Kabul” non riconoscevano nulla. Gli concessero solo una precipitosa fuga dall’Arg, nel quale loro s’insediavano. Lui volò prima in Uzbekistan poi negli Emirati Arabi. E mentre in un video preregistrato spiegava i motivi di quella scelta “… non volevo dare ai taliban la soddisfazione di umiliare un presidente afghano”, venivano rivelati alcuni aspetti del fulmineo addio: un set di valigie della dimensione d’un divano in cui aveva stipato milioni di dollari. Accaparramenti forse superiori a quelli del predecessore-usurpatore. Con simili premesse non ci sarebbe da stupirsi se l’economia interna, che pure sotto la spinta dell’embargo occidentale tuttora in atto ha conosciuto una fase di travaglio per l’intero 2022, mostri un orizzonte piatto.

L’ex presidente dell’Afghanistan Ashraf Ghani. Il suo governo fu rovesciato dai talebani il 15 agosto 2021 (AP Photo/Rahmat Gul)

Eppure scrive la Banca Mondiale: nonostante la mancanza di domanda di beni e servizi nei settori pubblico e privato, sebbene i consumatori si mostrino riluttanti verso gli acquisti in previsione di ulteriori cali di prezzi (nel primo anno di governo l’Emirato aveva imposto una riduzione del costo dei generi alimentari per limitare la denutrizione della popolazione) si registrano opportunità di lavoro per centinaia di migliaia di persone nel settore minerario, agricolo, infrastrutturale, artigianale, puntando anche sull’occupazione casalinga. Quest’ultima, nel caso di filati e tessuti coinvolge la manodopera femminile, bloccata all’esterno dalle famigerate norme restrittive della ‘legge islamica’, ma operativa fra le pareti domestiche. Così i dati dell’esportazione a fine 2022 con 1,9 miliardi di dollari risultavano ben superiori al quinquennio 2016-21 (0,8 miliardi). L’aumento ha riguardato i settori alimentare e tessile, mentre l’esportazione di carbone registrava un calo, tutti i flussi commerciali erano rivolti principalmente al Pakistan. Ovviamente la cessazione delle ostilità ha favorito un rilancio della produzione agricola in varie province e l’intento di taluni ministeri sensibili in materia di sicurezza, pur tollerando e coprendo l’andirivieni di talebani pakistani in conflitto col proprio governo, ha cercato d’imporre ai ‘fratelli di fede politica’ un comportamento che non inficiasse le relazioni mercantili con Islamabad. Se da una parte nel 2023, e anche nell’anno in corso, le importazioni e le necessità afghane risultano elevate a seguito della cospicua diminuzione degli aiuti umanitari (che a fine 2021 avevano creato un’emergenza per la sopravvivenza di milioni di cittadini), dall’altra le autorità mantengono  uno stretto controllo sulla fuga di capitali, prevenendo il contrabbando di dollari, davanti alle difficoltà interne di coniare nuova moneta che porta a sopravvalutare l’afghani. Altra nota favorevole: dal marzo 2023 al marzo 2024 il servizio preposto alle entrate fiscali è aumentato del 9%, grazie a ciò risultano aumentati i salari d’un tipo d’occupazione statale ancora assai diffusa, quella della  sicurezza fornita da polizia, esercito, Intelligence.

Sirajuddin Haqqani primo vice leader dell’Afghanistan e ministro degli interni ad interim nel regime talebano post-2021

Dopo l’encomio la Banca Mondiale lancia un allarme: questo modello di spesa risulta insostenibile, serve al governo ma non genera proventi, un andamento ben conosciuto dalle presidenze del periodo pretalebano sulle quali piovevano una quantità spropositata di miliardi dirottati in gran parte sulla sicurezza. Si suggerisce un cambio di passo, sebbene così facciano tutti a Ovest e a Est. Riprende fiato – e denaro – poiché i turbanti non l’hanno lasciato cadere, il progetto del canale Qosh Tepa, che deviando le acque del fiume Amu Darya può irrigare vasti terreni agricoli. Uzbekistan e Turkmenistan, che finora usavano una buona fetta della portata idrica dell’Amu Darya e che dovrebbero rinunciare all’esclusiva, non hanno finora contrastato la ripresa dei lavori stimati attorno ai 70 milioni di dollari. Rispetto al ventennio 2001-2021 privo di opere pubbliche, l’iniziativa diventa un fiore all’occhiello dell’Emirato, tanto da pompare una propaganda che dice: meno fondi rispetto all’epoca della ‘Repubblica democratica’ ma molti investimenti su sicurezza e servizi. Lo conferma anche Washington. Su un particolare prodotto degli altopiani afghani, il papavero da oppio, bisognerà vedere se prevarrà la stretta ideologica dei tempi del mullah Omar che ne vietava la coltivazione o il compromesso con un mercato che ovunque nel mondo fa salire la richiesta. Per tutto il 2022 e 2023 il governo ha vietato la semina, gli agricoltori e le casse statali hanno perso 1,3 miliardi di dollari di entrate. Gli esperti del settore ricordano che dopo la lavorazione la pasta di oppio si conserva egregiamente, dunque chi aveva scorte dei raccolti precedenti al nuovo corso governativo li ha immessi sul mercato. I rapporti degli anni passati – non solo della Banca Mondiale, ma dell’agenzia anti droga dell’Onu (Unodc) – rammentano come almeno il 15% del Pil afghano derivava dalla produzione e commercio di oppiacei, per qualsiasi governo è difficile rinunciare a queste entrate. Insomma nella ‘quasi promozione’ che l’istituzione di Washington fa della gestione economica di Hibatullah Akhundzada e soci c’è la considerazione che un riconoscimento internazionale dell’Emirato, lo stop alle sanzioni, lo svincolo delle transazioni bancarie, un ripristino di aiuti umanitari in cambio della fine di restrizioni su lavoro e istruzione per le donne e un forte ridimensionamento di spesa per esercito e polizia incrementerebbero ulteriormente la salute economica afghana. Proprio così. Alla Banca Mondiale basta questo.

articolo pubblicato su    http://enricocampofreda.blogspot.it

Di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *