Nello bellissimo scenario del cortile di Palazzo Reale di Milano e nelle sue sale piene di luce, fino al prossimo 22 settembre, saranno esposti i lavori del grande pittore bolognese Adami che celebra i 65 anni di incessante carriera
“Mettersi davanti a un quadro è mettersi davanti a un sogno. Quando disegno cerco di buttare via i brutti pensieri” ed è questa la poesia che Valerio Adami, con la sua pittura, riesce a trasmettere. Nella saturazione delle campiture colorate, la nettezza della linea nera di contenimento del disegno, il lessico del pittore emiliano è intriso di enigmi e di raffinato e colto umorismo come l’Enea che porta sulle spalle il vecchio padre Anchise e dove fuggono?… In un angolo la scritta Hollywood, dove il mito nonostante tutto si rinnova. O l’autoritratto con l’amato cane Ego. “L’ho chiamato così perché ci somigliamo, non perché io faccio una vita da cani, tutt’altro, ma perché il cane è fedele e io sono fedele alla mia professione, al mio lavoro”. Adami si diverte a sviarci: un immagine non ha un valore intrinseco, lo prende dagli accostamenti con altre immagini, semina gli indizi: anagrammi, frasi stratificazioni di senso profonde, “dietrologie narrative” dettagli non intellegibili al primo sguardo e che emergono solo dopo attenta analisi.
Torna a Milano, a Palazzo Reale, dopo la personale del 1986, Valerio Adami (nato a Bologna, 17 marzo 1935), maestro colto e raffinato dell’arte contemporanea mondiale, ancora non troppo conosciuto al grande pubblico in Italia, con una mostra antologica (ingresso gratuito) che si potrà visitare fino al 22 settembre. Promossa dal Comune di Milano, curata da Marco Meneguzzo con il coordinamento di Valeria Cantoni Mamiani, presidente dell’Archivio Valerio Adami nonché nipote dell’artista, propone oltre settanta grandi quadri e una quarantina di disegni realizzati tra il 1957 e il 2022 per celebrare 65 anni di incessante e continua produzione. “Non c’era giorno della sua vita in cui Valerio Adami non abbia dipinto o disegnato e lo fa tutt’oggi a 89 anni”, ha raccontato Valeria Cantoni Mamiani. La quarta sezione della mostra , che si trova in un stretto passaggio tra una sala e l’altra, è tappezzata infatti dai recentissimi ritratti ideali che l’artista ha compulsivamente realizzato in pochi mesi prima di questa importante mostra, e rivela la sua feconda attività creativa e il suo bisogno quotidiano di confrontarsi con i suoi ‘padri nobili’, i suoi “maestri dell’anima” un modo per sentirli più vicini: Friedrich Nietzsche, Igor’ Fëdorovič Stravinskij, Sigmund Freud, Pablo Picasso, Lev Tolstoj, Cesare Pavese, George Bernard Shaw, Hermann Hesse, Walter Benjamin, e ancora Richard Wagner, Mahatma Gandhi. Ad arricchire ulteriormente il percorso, il docufilm Valerio Adami, il pittore di poesie, diretto da Matteo Mavero, prodotto da Artery Film, con regia di Matteo Mavero e la partecipazione dello stesso Adami e dei suoi amici filosofi e artisti.
Adami ha un’anima cosmopolita e viaggia di continuo – sempre in compagnia della moglie Camilla Cantoni Mamiani, le tante città attraversate Parigi da giovanissimo, sua città di elezione (dove trascorreva gli inverni) , Londra, New York, Città del Messico, Atene, Cuba, l’India, Caracas e, infine, l’approdo a Meina (sulle sponde del Lago Maggiore, sua attuale abitazione, in cui si trasferiva tutte le estati). Stringendo amicizie con intellettuali e artisti di spicco come Oskar Kokoschka (conosciuto a Venezia nello studio di Felice Carena e che sarà per lui riferimento costante), Bepi Romagnoni, Sebastian Matta, Wilfredo Lam, Francis Bacon, Italo Calvino, che scriverà per lui le Quattro favole di Esopo, Jacques Derrida, Carlos Fuentes, Octavio Paz, Antonio Tabucchi, Jean-François Lyotard, Luciano Berio. “Il viaggio è forse la cosa che mi ha nutrito”, dice Adami in un intervista discutendo di ispirazione. Sempre in movimento, sempre con gli strumenti da lavoro utili a “disegnare un pensiero, un ricordo, molte cose del mio quotidiano”. Tutto parte da uno stato d’animo, spiega, il quale deve “prendere anche un valore di rappresentazione”, che non può ridursi a un dettaglio visivo autobiografico, ma espandersi a pensiero universale.
Torna in quella città dove tutto è iniziato. Dall’Accademia di Brera (“lo tenni segreto per due anni, dicendo che avevo scelto Architettura) con i corsi di Achille Funi da cui apprenderà la dedizione assoluta al disegno come “apprendistato della mano e del tatto, degli occhi e del cuore”; al bar Jamaica, in cui si ritrovano giovani artisti in erba in fervidi dibattiti; allo studio in Via Crespi, dove incontrerà la futura moglie Camilla Cantoni Mamiani, anche lei pittrice. La sua prima personale arriva nel 1959 a Milano alla Galleria del Naviglio. Una vocazione pittorica, “una chiamata” segnata dall’incontro folgorante, con Oskar Kokocha, conosciuto a Venezia nello studio di Felice Carena e gli aveva chiesto di seguirlo a Salisburgo per fargli da assistente e che sarà per lui riferimento costante.
Un intellettuale prima che un artista, aperto a tutte le suggestioni derivate da altri linguaggi, come la letteratura, la filosofia, la musica, il cinema, la filosofia, la storia, e la mitologia europea moderna e che traduce nel suo operare in una nuova lingua che sa unire le differenti discipline del sapere in una contaminazione di paradigmi e di linguaggi, in una rinnovata lettura e racconto del reale.
Un pittore impossibile da catalogare: partito da una pittura espressionista influenzata dall’opera di Francis Bacon, e dalla suggestioni pop in particolare da Roy Lichtenstein, già negli anni Settanta, quando prevalevano Arte Povera, Arte Concettuale, Astrattismo, Adami si caratterizza per un linguaggio assolutamente proprio: grandi formati, colori acrilici accesi, stesi in campiture piatte , senza chiaro scuro, marcate linee nere di contorno, corpi “smontati” e ricostruiti, accompagnate da parole e scritte vergate con la sua personalissima calligrafia in corsivo, appuntita e inclinata verso destra
Dietro alle immagini di immediata leggibilità, come accennavamo prima, si nasconde una narrazione più profonda: metafore visive sofisticate, citazioni letterarie e riferimenti colti, concetti filosofici, letterari e mitologici tratti dalla storia del pensiero occidentale prendono posto sulla tela in contesti ironici e fantastici in cui si dispongono oggetti e corpi, a volte sdoppiati e ricostruiti, a volte banalmente schematizzati. ll testo entra nell’immagine le parole creano rebus, dando nuove informazioni allo spettatore e al tempo stesso interrogandolo e in paesaggi surreali.
Pittore di idee , come lo definisce il sottotitolo della mostra ,delle idee che hanno costruito la cultura occidentale poiché per Adami “disegnare è un modo di pensare”
Al primo impatto è il colore, sempre in toni particolari, che caratterizza i suoi lavori, ma di fatto è il disegno “la chiave di lettura” e “il punto di partenza” del metodo dell’artista, Il disegno, inserito in un proiettore, ci ha raccontato la nipote Valeria, viene proiettato sulla tela dov’è fedelmente riprodotto, L’uso dei colori, piatto e senza sfumature, di grande eleganza, viene dopo. I suoi colori – dai magnifici rosa, agli azzurri, i blu e i gialli e a tutte le tonalità di rosso fino al bordeaux – spesso abbinati a contrasto, vanno a riempire, après coup, lo spazio che il disegno fa emergere. .E che dà vita a quello che Jacques Derrida (proprio in riferimento al lavoro di Adami cui dedicò un saggio), ha chiamato “il viaggio del disegno”: la mano sismografo registra quello che l’occhio guarda e quello che la mente vede, ripercorre il caleidoscopio delle sue ispirazioni e che nell’essenzialità della linea ,lo rielabora, sintetizza, giustappone, scompone e ricompone. Per il filosofo e amico dell’artista , il disegno di Adami è, “telescopico”: agisce come un apparecchio che da lontano ravvicina e raggruppa le immagini, mette a fuoco lo sfaccettato immaginario dell’artista e lo dissemina nell’opera.