Syria's interim President Ahmed al-Sharaa (C) leaves a bilateral room after his meeting with Qatar's Minister of Foreign Affairs during the Antalya Diplomacy Forum, in Antalya, on April 11, 2025. (Photo by Ozan KOSE / AFP)

Il nuovo governo siriano potrebbe avere in al-Sharaa un leader per lungo tempo. Nonostante le spaccature e divisioni interne ai gruppi etnico-religiosi presenti fra la popolazione scampata a tredici anni di conflitto e stragi tra i tanti problemi, il programma del presidente ad interim è molto ambizioso: parla di unità nazionale e convivenza civile, oltre che ricostruzione statale ed economica. Anche se i primi contrattempi non si sono fatti attendere

Velleitario, presuntuoso, realista Ahmad al-Sharaa – già Abu Muhammad al-Jolani, leader del gruppo salafita Jabhat al-Nusra e poi di quello islamista Tahrir al-Sham – viene  variamente etichettato da osservatori e analisti in base al “lavoro istituzionale” con cui punta a offrire alla Siria post Asad un nuovo governo. Il percorso è tutto in salita per i cento e uno problemi, le spaccature e divisioni interne ai gruppi etnico-religiosi presenti fra la popolazione scampata a tredici anni di conflitto e stragi, e le mire che potenze attigue e potenze mondiali continuano a mantenere nei confronti del territorio siriano. I passi politici annunciati da al-Sharaa parlano di: unità nazionale e convivenza civile, ricostruzione statale ed economica, e già bastano per un percorso che potrebbe durare anni. Il primo obiettivo è incappato, ad appena tre mesi dalla liberazione dal clan Asad, in un grosso intoppo. Una ribellione messa in atto nell’area abitata dagli alawiti fedeli all’ex regime – Tartus e dintorni – da gruppi armati nostalgici di Bashar. E’ finita nel sangue. Di tanti cittadini. L’attuale governo ha dichiarato duecentotrentasette vittime, l’Osservatorio siriano dei diritti umani è salito fino a duemila. La realtà è che il Paese è parzialmente controllato e non pacificato. E se un’altra comunità, quella drusa, si è anch’essa risentita col governo, usando armi da fuoco ma senza grandi spargimenti di sangue, alcune famiglie druse collocate nelle alture del Golan, dove Israele ha ulteriormente ampliato la pluri cinquantennale occupazione, si mostrano disponibili all’annessione. Tel Aviv ha lanciato l’amo pure alla comunità kurda, così da minare ulteriormente la precaria stabilità che Damasco prova a cementare, ma è rimasta spiazzata dall’avvicinamento, parziale e magari temporaneo però concreto, fra al-Sharaa e il leader delle milizie del Rojava Mazloum Abdi. L’accordo fra i due non entra nel merito del futuro di quei territori, prevede il mantenimento delle milizie delle Forze Democratiche Siriane all’interno di quelle governative, incentrate sulle truppe di Tahrir al-Sham. Durerà? E cosa dirà Washington per anni procacciatore di armi per Sfd? Nel percorso necessariamente in divenire al-Sharaa sembra tenere la barra dritta. Gli embarghi che avevano portato fame, perlomeno nei territori occidentali controllati dai ribelli jihadisti, potrebbero attenuarsi.

Un manifestante con un cartone rappresentante la bandiera siriana

Da parte dell’Unione Europea c’è disponibilità di revoca delle sanzioni sul fronte energetico e delle attività finanziarie se il Paese camminerà verso una democratizzazione che vuol dire elezioni libere in breve tempo, mentre Mosca che dalla fuga di Asad ha ritirato i ‘consulenti militari’ e sospeso le forniture di cereali potrebbe riproporle assieme a forniture energetiche se le basi aeree e navali fra Latakia e Tartus continueranno a ospitare le istallazioni russe. Il pragmatismo dell’ex jihadista Jolani potrebbe renderlo possibile. Ma la popolazione interna ha bisogno di case, ospedali, scuole e strade. Le petromonarchie, che di denari ne hanno a iosa e sono disponibili a prestiti, mostrano un cauto ottimismo sul nuovo corso di Damasco, anche i buoni uffici espressi dalla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan stabilizzano la posizione personale di al-Sharaa. Certo, c’è il rovescio della medaglia lungo le centinaia di chilometri di confine diventata ‘zona cuscinetto di sicurezza’ in funzione anti Rojava e attuata già dal 2019, e come detto fra al-Sharaa e Abdi c’è stato un avvicinamento che non piacerà ad Ankara. Ma il presidente siriano di transizione sembra attuare, finché gli risulterà possibile, una linea di passi misurati e concreti, se questa andrà incontro a nodi dovrà decidere come e in quale modo scioglierli. Per garantire un andamento tranquillo al nuovo esecutivo formato da ventitré membri s’è affidato a un terzetto di fedelissimi cui, come fan tutti i leader in ogni angolo del mondo, ha consegnato i ministeri chiavi. Difesa all’ex responsabile militare di Tahrir al-Sham, Murhaf Abu Qasra; Interni al capo dell’Intelligence del governo di Idlib Anas Khattab; Esteri ad Asad al-Shaybani uno dei fondatori di Hts. I brividi che questi nomi suscitano in molti, poiché sotto gli attuali doppiopetto e cravatta permangono mimetiche un tempo messe al servizio di Qaeda, sono compensati dagli incarichi d’un poker di ministri professorali, ben lontani dal mondo jihadista. Al dicastero dell’Economia c’è Mohammad Nidal al-Shaar, già docente presso l’Università di Aleppo e già ministro economico fra il 2011 e 2012 durante il vecchio regime. Alla Giustizia Mazar Abdul Al Wais, passato dallo studio del Diritto Islamico alle prigioni di Asad poi dal 2017 membro del Consiglio Giudiziario Supremo sino alla definitiva liberazione nazionale. Alle Finanze Mohammad Yusr Barniyeh, economista del Fondo Monetario Arabo dopo trascorsi da tirocinante presso la Federal Reserve Bank newyorkese, infine al ministero del Lavoro e Affari sociali la ricercatrice e attivista Hind Kabawat fondatrice di Tastakel, organismo femminile rivolto alla non violenza per la soluzione del conflitto siriano. Anche in questo caso un perfetto mix di passato tuttora considerato terrorista dall’Occidente e non solo, e aggregazioni pluraliste con cui la nuova Siria prova a volare in un Medioriente sempre squassato e insidioso.

articolo pubblicato su    http://enricocampofreda.blogspot.it

Di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022 • L'Intagliatore 2025

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *