Recep Tayyip Erdoğan incontra per la prima volta, dopo tredici anni, i politici filo-kurdi

In Turchia i diritti civili sono sempre più violati dal governo in carica. Attivisti, politici, giornalisti e semplici cittadini sono soggetti all’articolo 299, usato in modo improprio al fine di mettere a tacere anche le contestazioni più pacifiche. Nell’ultima manifestazione sono stati arrestati 300 persone, 139 delle quali rischiano anni di reclusione

L’articolo 299 del codice penale turco, che riguarda “insulti al presidente della Repubblica”, è lo scoglio contro il quale s’infrangono le reali o presunte trasgressioni di attivisti, politici, giornalisti e semplici cittadini. Un richiamo pretestuoso all’articolo da parte della magistratura può diventare l’alibi utilizzato da chi ne beneficia per incarcerare per almeno tre anni chi solleva non insulti ma critiche, motivate e politiche che dovrebbero essere previste dal confronto democratico. Eppure il pericolo rappresentato dal tentato golpe del luglio 2016 ha sedimentato questa violazione rendendola non grave, bensì gravissima e accoppiata all’articolo 301, che punisce l’offesa alla “turchicità” dello Stato e delle Istituzioni con pene doppie (da sei anni in su), può costituire la pietra tombale per l’attività politica dell’eventuale condannato. Ovviamente c’è di peggio: il reato di terrorismo, che colpisce la sicurezza e la tutela nazionali, può condurre al carcere a vita. Il noto leader e fondatore del Partito Kurdo dei Lavoratori (Pkk) Abdullah Öcalan è danneggiato da tale accusa e recluso da ventisei anni. Un’altra figura di primo piano della politica in Turchia, il co-presidente dell’ex Partito Democratico dei Popoli (Hdp ora Dem) Selahattin Demirtaş, è incarcerato da circa un decennio per presunto fiancheggiamento del Pkk, mentre l’ex sindaco di Istanbul di sponda repubblicana Ekrem Imamoğlu ha scampato quest’accusa, ma è detenuto in attesa di giudizio per reati di corruzione. A nulla è servito il plebiscito con quindici milioni di consensi col quale l’antico partito kemalista Chp l’ha incoronato candidato alle presidenziali del 2028, elezioni che il capo dei repubblicani Özgür Özel vorrebbe anticipare. E nulla sembra smuovere una protesta a sostegno del sindaco che nella metropoli sul Bosforo ha toccato punte di oltre uno o due milioni di manifestanti per strada. Anzi gli scontri che ne sono seguiti e hanno portato in carcere circa duemila persone, per quanto molte rilasciate, sono additati dal governo dell’Akp e dallo stesso Recep Tayyip Erdoğan come un pericoloso turbamento della sicurezza interna.

Con l’arresto del sindaco di Istanbul, Recep Tayyip Erdoğan porta la Turchia a un nuovo bivio. La polizia turca in assetto di guerra contro i manifestanti

All’assalto ai manifestanti a suon d’idranti, spray urticanti, lacrimogeni e successive denunce per procurate violenze su centocinquanta poliziotti, si aggiunge la reclusione per trecento contestatori e centotrentanove rischiano accuse per diversi anni di detenzione. Fra costoro sono finiti i giornalisti Bülent Kılıç, Kurtulus Ari, Yasin Akgul, Zeynep Kuray, Gokhan Kam, Ali Onur Tosun, Hayri Tunç, intenti a seguire per vari media i sit-in e i presidi creati nei giardini di Saraçhane accanto all’edificio che ospita il Municipio. I cronisti avrebbero violato una legge che “vieta la partecipazione a proteste non autorizzate”, sebbene fossero lì non come partecipanti alle manifestazioni ma per garantire al Paese e ai cittadini l’informazione. L’opposizione, stretta attorno al Chp, sostiene categorica che la mobilitazione proseguirà, ricevendo aiuto anche dal movimento degli studenti universitari che, soprattutto a Istanbul, aveva già espresso insofferenza e dissenso quattro anni or sono, in uno degli atenei affacciati sul Bosforo denominato Boğaziçi. Allora si protestava contro un rettore imposto con nomina governativa, che umiliava la tradizione di scelta della guida accademica fra il corpo docente, e chi fra i nuovi allievi oggi parteggia per la protesta pro Imamoğlu lo fa a favore del medesimo principio di libero arbitrio. Certo, quello che per l’elettorato repubblicano vuol essere l’attacco al cielo dello strapotere erdoğaniano non ha finora visto, e rischia di non vedere né in piazza né altrove, l’intera opposizione politica. Il riferimento è al partito filo kurdo Dem che stamane ha avuto un cordiale incontro col presidente da parte dei rappresentanti Sırrı Süreyya Önder e Pervin Buldan. Non accadeva da tredici anni. Tema: una Turchia libera dal terrorismo. E’ un passo che segue il dialogo avviato nello scorso autunno dal maggiore alleato dell’Akp, Devlet Bahçeli leader del Partito Nazionalista, che promette la liberazione di Öcalan in cambio dell’azzeramento della lotta armata kurda. Il percorso è lungo e tortuoso, anche perché la frangia militarista del Pkk non è convinta della bontà dell’accordo, ma personalmente Erdoğan tiene parecchio a una pacificazione dal valore doppio: sicurezza come obiettivo raggiunto da sbandierare nell’urna presidenziale dove, se i Dem sosterranno col voto parlamentare un ulteriore ritocco costituzionale, potrebbe partecipare per l’ennesima volta.

articolo pubblicato su    http://enricocampofreda.blogspot.it

Di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022 • L'Intagliatore 2025

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