La coltivazione dell’oppio, vietato per due anni, ha costretto molti contadini a traslocare in Pakistan per continuare a fare affari con la droga più richiesta sul mercato. E’ l’unico modo per sopravvivere, perché pensare di emigrare nell’Occidente più vicino, servono almeno cinquemila dollari, cifra folle per il tenore di vita della stragrande maggioranza di quella popolazione
Due anni di divieto di coltivazione dell’oppio e nell’Emirato afghano la produzione è calata nel 2022 da 6.200 tonnellate di prodotto fresco a 33 tonnellate (sic) nel 2023. Lo conferma un rapporto Unodc (l’agenzia Onu che studia la diffusione di produzione e traffico di sostanze stupefacenti). Così molti contadini delle province dell’Helmand e Kandahar varcano il poroso confine col Pakistan e si stabiliscono stagionalmente nel Balochistan per continuare a coltivare il prodotto richiestissimo sui mercati mondiali. Lo Stato pakistano, governo dopo governo, ha assunto posizioni altalenanti nella lotta contro questa coltivazione, all’inizio del nuovo millennio i terreni dov’era possibile produrre papavero da oppio erano passati da circa diecimila ettari a poche centinaia. Però il tempo, le vicissitudini politiche interne e la tolleranza corruttiva degli organi preposti a controllo e repressione hanno riallargato le fila dell’affarismo. Che ha ovviamente svariati livelli. Quelli indagati da alcuni ricercatori locali attraverso le testimonianze di contadini afghani “transfrontalieri” raccontano storie minime di chi ha pure provato a seguire le direttive talebane di bandire, per ragioni morali, l’oppio dalla produzione, finendo però in un gorgo di problemi con raccolti di grano, orzo, mais, cotone andati a male per carenze d’istallazioni idriche e in certi casi proprio di acqua. Mentre il papavero ben s’adatta a certe carenze. Naturalmente la spinta maggiore è, come si sa, il guadagno. Pure se l’ingranaggio nel quale i pendolari dell’oppio si ritrovano, varcando per proprio conto o affidandosi a contrabbandieri per l’attraversamento di certe aree, e dunque pagando un primo prezzo per questo “favore”, quindi lasciando più delle metà del raccolto a chi gli affitta il terreno, il ricavato finale gli consente di sovvenzionare i parenti rimasti in Afghanistan. Perché a casa la situazione è terribile, viste le ristrettezze imposte dalla Banca Mondiale che per ragioni politiche ha pesantemente tagliato i finanziamenti, ristrettezze che ricadono sull’economia degli abitanti.

Quasi sempre la famiglia afghana non segue il maschio, più o meno giovane, che s’imbarca nell’avventura. Con un rischio, in ogni caso, decisamente inferiore rispetto al viaggio verso l’Occidente, in un Occidente sempre più respingente, che ormai parecchi ragazzi iniziano a evitare. Certo, così si resta dannatamente legati a quelle terre e alle imposizioni comportamentali marchiate dall’affarismo illegale della droga, che ha rotte sempre occidentali. Eppure questo sembra essere l’unico passo possibile per chi vive nelle aree rurali, anche perché la “stecca” richiesta è minima o abbordabile per le famiglie povere. I contadini-viaggiatori riferiscono che nei passaggi più usati, tra il distretto di Baramcha a Helmand e quello di Nushki nel Balochistan, bastano 120 dollari a persona. Invece nel “Gioco” che porta in Iran e Turchia e forse Grecia e Balcani la cifra dei cinquemila dollari oggi è quasi raddoppiata. Andare e venire oltre la frontiera pakistana ha il prezzo menzionato, cui si deve aggiungere altrettanto se si ha la sfortuna d’essere pizzicati dal poliziotto di Islamabad. Ma se lo s’impietisce si riesce a sfangarla con molto meno. Qualcuno più scaltro e magari ammanicato coi mediatori del “grande traffico”, che hanno cerchie vaste sino a giungere ai clan mafiosi di varie etnìe che collaborano nel narco-globalismo, raccoglie denaro anziché papaveri. Vestendo i panni di chi procura mano d’opera fra i connazionali li fa coltivare per sé in enormi appezzamenti di terreno pre-affittati. Per far questo occorre però esperienza, una buona dose di fegato o l’appartenenza a taluni giri. In genere si tratta di ex contrabbandieri che sono già stati mercanti d’oppio, alcuni lavoravano per i Signori della guerra o per gli statisti-fantoccio come Hamid Khan Kharzai all’epoca dell’occupazione Nato. Non è cambiato molto, solo gli appezzamenti dove piantare i papaveri. Ché le piazze mondiali della richiesta attendono, ansiose e tossicamente dipendenti.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it