La tregua nella Striscia di gaza sembra più uno specchietto per le allodole. Operazione pattuita, barattata col rilascio d’un numero copioso di prigionieri palestinesi, di cui s’è evidenziato il lato propagandistico. Si parla di vittoria palestinese e sconfitta di Netanyahu, costata, però, cinquantamila morti e incertezza sul presente e futuro. Tra le macerie bambini e vecchi più fragili, rischiano di morire di fame e freddo, altro che vittoria

La minuta e sentita, lenta e affaticata, polverosa ma orgogliosa marcia per il ritorno verso nord, intrapresa da decine di migliaia di gazesi dal momento del cessate il fuoco è uno dei volti della crisi che prosegue nella dolente Striscia. E’  caduta presto nel dimenticatoio della maggior parte dei media che pure ne avevano parlato, e grazie ai martoriati  operatori locali, avevano mostrato facce stravolte e pure ridenti. E’ stata superata dall’altra attualità: il rilascio cadenzato degli ostaggi israeliani, alcuni sospettosamente accondiscendenti coi carcerieri, altri atterriti dalla folla urlante, trasportati dalle milizie di Hamas verso le auto della Croce Rossa che li consegnavano ai propri cari. Operazione pattuita, barattata col rilascio d’un numero copioso di prigionieri palestinesi, di cui s’è evidenziato il lato propagandistico con cui il Movimento islamista dava sfoggio di divise e armi, controllo del luogo della liberazione e proprio ruolo centrale nella trattativa, con un messaggio esplicito al governo di Tel Aviv che per quindici mesi ha inseguito “l’annientamento” di quest’avversario politico e militare. Invece tutto sembra come prima. Politicamente lo è. Militarmente decisamente meno. Umanamente per niente, perché i lutti sono lacerazioni che durano in eterno. Eppure nel rapporto fra chi imbraccia il kalašnikov e chi tutt’attorno osserva rabbioso o curioso quell’operazione i legami non sono né spezzati né logorati. Anzi, risultano più profondi. Perciò si parla di vittoria palestinese e sconfitta di Benjamin Netanyahu, una vittoria costata, finora, cinquantamila morti e incertezza sul presente e futuro. Ma tant’è.

Il rilascio di alcuni ostaggi palestinesi

Parlare di successo per una marea itinerante fra macerie, che, nei figli e nei vecchi più fragili, può tuttora crepare di fame e freddo, sa di bestemmia della morale. Però bisogna andare oltre l’ammasso di cadaveri, ricercati per un suprematismo politico, ideologico, confessionale, razziale,  un andamento nel quale taluni Stati e regimi si rispecchiano in parte o in tutto. Purtroppo Israele li somma, uno accanto all’altro. La fiducia in un prosieguo esistenziale che nella propria saggezza antica o disperazione o fatalismo o senso della vita questi marciatori  affranti ma non piegati; questa gente che s’accuccia in tendopoli di fortuna messe su a pochi metri dai cumuli di rovine create da chi li detesta; queste famiglie insanguinate e costernate ma felici di rientrare verso casa sebbene la casa sia un ammasso di pietre o cemento, rappresenta la lezione che un cieco Israele si rifiuta di capire. Lo spettro di quel che dice di non fare – un genocidio – di ciò che israeliani ed ebrei non accettano di poter anche solo ascoltare nelle proteste contro i massacri perpetuati, appare essere l’unica folle via per estirpare una massa resistente a ogni bomba, a ogni perdita, a ogni sacrificio. Un popolo che rimane attaccato alla sua terra, accettando di sopravvivere nel nulla e nell’incertezza, nella devastazione proposta e imposta da oppressori incalliti. Volti che sperano di vivere, di sorridere nonostante gli scempi, di rilanciare la bellezza dell’ottimismo, di ricordare che il male non deve essere assoluto. Non può esserlo. Non ha spazio nella Storia, nonostante continui a riaffacciarsi.

articolo pubblicato su    http://enricocampofreda.blogspot.it

Di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022

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