Il docufilm di uno dei principali esponenti del divisionismo italiano arriva in 200 sale cinematografiche il 4 e 5 febbraio
“Ogni suo dipinto potrebbe essere un film. Il taglio dell’inquadratura, il controluce tanto amato dal pittore anticipa la scrittura della luce di Vittorio Storaro, il grande direttore della fotografia. Il borgo di Volpedo era per Pellizza quello che Rimini è stata per Federico Fellini: un mondo”. L’attore Fabrizio Bentivoglio ha sintetizzato così alla presentazione del film che arriva in 200 sale cinematografiche il 4 e 5 febbraio, l’opera di Pellizza da Volpedo, uno dei principali esponenti del divisionismo italiano, universalmente noto per quel Quarto Stato, diventato quadro icona delle rivendicazioni che animavano l’Italia alla fine dell’800. Un dipinto monumentale (alto tre metri e lungo sei,) risultato di un lungo percorso di sperimentazione e di travaglio personale (quando nel 1902 venne esposto a Torino fu ignorato dal pubblico e dalla critica). Dal l buio di una condizione fatto solo di miseria, sudore e fatica, avanza compatta e vittoriosa, avvolta in una luminosità dorata, vittoriosa, una schiera potente di braccianti, verso un futuro di uguaglianza sociali. Vestita di tutta dignità perché gli abiti ben confezionati dei tanti contadini da lui ritratti, li aveva comprati a spese sue. In primo piano è sua moglie, l’amatissima Teresa. “Il Quarto Stato è la richiesta di diritti da parte della gente che lavora, che siamo noi. Per questo ancora ci riconosciamo in quel quadro. E ancora emoziona chi lo guarda”, ha sottolineato ancora Bentivoglio.
Diretto da Francesco Fei, già regista dei documentari Dentro Caravaggio e Segantini, Ritorno alla Natura, con la partecipazione speciale di Fabrizio Bentivoglio, il film è prodotto da Apnea Film con partecipazione di Mets Percorsi d’arte e realizzato con la collaborazione dell’Associazione Pellizza da Volpedo e di Aurora Scotti, la più importante critica e studiosa dell’arte di Pellizza. Primo appuntamento della nuova Stagione della Grande Arte al Cinema di Nexo Studios.
Attraverso inquadrature ispirate ai colori e alle atmosfere delle sue opere, nella ricerca fotografica di quella luminosità che ha sempre perseguito l’artista e che lo renderanno uno dei maestri del divisionismo, il docufilm immerge lo spettatore nella visione pittorica di Pellizza, ponendo l’accento sul suo modo di sentire la natura come fonte d’ispirazione artistica e spirituale e la ricostruzione di momenti di vita del pittore. Il film si apre nello studio, rimasto identico a come l’ha lasciato l’artista. È qui che Bentivoglio accoglie lo spettatore leggendo le toccanti lettere e i diari del pittore che rivivono attraverso la sua voce, profonda e ispirata, dal ritmo piano e meditato. Le vedute delle vie del borgo e della campagna di Volpedo accompagnano e sottolineano la narrazione, supportato da immagini di dipinti, tra cui vari ritratti ma anche foto, con le quali l’artista “fermava” situazioni che poi riprendeva nei suoi quadri. Critici d’arte, direttori e curatori di musei, con i loro commenti, aiutano a descrivere il personaggio, ma anche episodi che riguardano le sue opere. A interpretare il pittore è invece Marco Federico Bombi per tutti “Mafe”, attore, doppiatore, voce audioguida per progetti museali. Una presenza silente e solitaria dalla lunga barba, intento alla meditazione filosofica sulla natura. Non parla, pensa, guarda, dipinge, si muove negli spazi abitati e vissuti dal pittore, e anche percorre alcune stradine di campagna con un calesse a cavallo del tutto simile a quello che fu di Pellizza. Il pittore rimarrà sempre legato al luogo di nascita, e persino nel nome. Fu lui stesso ad aggiungere, fin dal 1892, “da Volpedo” al suo cognome, come (aggiunta che è un omaggio a un’usanza rinascimentale). Anche da un punto di vista pittorico, sullo sfondo, di ogni quadro ’è sempre Volpedo. Come alla realtà sociale del borgo appartengono le umili figure che popolano i suoi quadri.
Giuseppe Pellizza nasce a Volpedo, piccolo borgo agricolo in provincia di Alessandria (oggi conta 1200 abitanti) tra il giallo dei campi di grano e il verde delle morbide colline coperte dai vigneti. Manifesta sin da ragazzo talento e passione per la pittura che il padre Pietro, un piccolo proprietario terriero e viticoltore, garibaldino e di ampie vedute, decise di assecondare, pur essendo l’unico figlio maschio. E proprio grazie a questa attività che i Pellizza, che non avevano esperienze in ambiti culturali o artistici, entrarono in contatto con personaggi della cultura milanese dell’Ottocento, come i fratelli Grubicy, mercanti d’arte. Pietro Pelizza li conobbe tramite i Della Beffa che acquistavano il vino da lui. Grazie all’interessamento dei Grubicy, ottiene l’iscrizione all’Accademia di Brera per il figlio che si trasferisce così a Milano a quindici anni,. Per poi passare, terminato il tirocinio milanese, dove è allievo di Francesco Hayez, alle accademie di Roma, di Firenze dove trova il maestro Giovanni Fattori, e a Bergamo con il ritrattista Cesare Tallone. Proprio in questo periodo inizia a praticare la fotografia, utilizzando una macchina fotografica avuta di seconda mano dall’amico Edoardo Berta, già compagno di corso a Brera e ritrovato a Bergamo. Il desiderato viaggio a Parigi, in occasione dell’Esposizione Universale del 1889, è interrotto dalla morte della sorella minore Antonietta, fatto che lo spinge a rientrare anticipatamente a Volpedo. E definitivamente. Crea uno studio per la pittura adattando un locale adiacente alla casa paterna. Per potenziare la luminosità dell’interno dello studio, Pellizza fa aprire sul soffitto un grande lucernario, per il quale disegna egli stesso il telaio. Nel 1892 sposa la diciassettenne Teresa Bidone, una ragazza di umili origini, amatissima, che sarà il pilastro della sua vita La tragedia finale non è insistita dal regista Fei, è anticipata da un temporale che si scatena sulle colline sui tetti di Volpedo. L’amarezza di non essere stato compreso artisticamente, sopraffatto dalla disperazione a seguito di una serie di lutti (la malattia del padre, la perdita del primo figlio maschio, appena nato, dopo due femminucce e dell’amatissima Teresa, per le conseguenze del parto difficile, il 14 giugno 1907, il pittore si impicca con il filo di ferro nel proprio studio, a soli 39 anni. Ma ha lasciato un’impronta profonda nell’arte italiana. Il docufilm di Fei mostra chiaramente che Pelizza non è solo il Quarto stato. L’universo pittorico è fatto di altre tele che meritano visibilità e attenzione da parte del grande pubblico.
Musei e Gallerie dove ammirare le opere di Pellizza da Volpedo
Studio-Museo del pittore, a Volpedo, a pochi passi dalla piazza (sabato e domenica 15-17, ingresso gratuito). La Pinacoteca della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, che non a caso è stata intitolata “il Divisionismo” custodisce oltre venti dipinti fra cui due capolavori, quali “Il cammino dei Lavoratori”, dipinto del 1898 che condensa il passaggio da Fiumana a Quarto Stato. E “Il ponte”, opera della maturità “simbolista”: un uomo prono sull’acqua a dissetarsi e una donna con in braccio un bambino, su un immenso greto deserto, poco più in là un pastore che si allontana con lo sparuto gregge appena visibile nella penombra. Tutto intorno, il nulla. La vita come transito. Serve un ponte che faccia da ricovero, sosta. Serve il fiume, dove abbeverarsi. Al Gam di Milano è esposto in permanenza ‘il Quarto Stato’. A Palazzo Citterio – La Grande Brera ‘Fiumana’. Al Gam di Torino è conservato Lo specchio della vita’. All’Accademia Carrara di Bergamo ‘Ricordo di un dolore’. Inoltre, sino al 6 aprile 2025, al Castello Visconteo di Novara, nell’ambito della mostra Paesaggi. Realtà, Impressione, Simbolo. Da Giovanni Migliara a Pellizza da Volpedo, sono esposti tre dipinti: Sul fienile, il primo quadro in cui Pellizza cercò di applicare meticolosamente il divisionismo La Clementina (opera ritrovata da poco) e Valletta a Volpedo. In attesa della grande monografica alla Galleria d’Arte Moderna di Milano dal 26 settembre di quest’anno al 25 gennaio 2026.