In Egitto il miliziano islamista promette di eliminare al-Sisi, che ritiene il dittatore di un Paese diviso da “multinazionale delle Forze Armate” che dà da mangiare a milioni di famiglie e da una cinquantina di milioni di abitanti che s’arrangiano, vivono come possono, stentando davanti a una crisi economica che morde i “non protetti”
C’è un islamista egiziano dal nome comune nel suo Paese, al-Mansour, che ingombra le notti del presidente Sisi. Se anche testate con l’occhio puntato sul medioriente registrano reazioni più o meno dirette alla campagna contro Sisi lanciata da mesi da tal Ahmed al-Mansour, qualche fremito l’uomo forte del Cairo deve averlo. E in effetti in un suo recente intervento ha dischiarato: “Se il vostro presidente non è buono, se c’è sangue sulle sue mani, se ha rubato del denaro, dovreste essere preoccupati per il vostro Paese. Grazie a Dio, nessuno di questi problemi esiste“. Più che di timori trattasi di autoassoluzione. Eppure osservatori interni hanno messo in relazione queste frasi al tam-tam sui social lanciato da al-Mansour con l’hashtag: “E’ il tuo turno, dittatore!” slogan che valeva contro Asad e che Mansour ha mutuato contro l’ennesimo satrapo che detesta. Anche perché Ahmed è un egiziano che ben conosce, avendolo vissuto, il trapasso dalle speranze del suo Paese riposte nella cacciata di Hosni Mubarak, l’avvìo d’un governo liberamente eletto nel 2012 (quello guidato da Mohamed Morsi), le proteste davanti alla moschea Rabaa al-Adawiya dopo la rimozione forzata dell’esecutivo della Fratellanza Musulmana, e la strage del 13 agosto 2013 con oltre un migliaio di manifestanti uccisi uno a uno dalle Forze Armate dirette da Sisi. Negli interventi che posta sul web, al-Mansour sostiene di non aver mai fatto parte della Confraternita, d’essere riparato in Siria per sfuggire alla repressione interna e d’essersi poi unito alle milizie islamiste. Ora che i combattenti di Hayat Tahrir al-Sham hanno conquistato il potere a Damasco, il miliziano d’Egitto afferma ch’è giunta l’ora di spazzare via Sisi. Fin qui la propaganda, però non esplicita come. Che l’odio verso la lobby militare e il presidente in persona siano estremamente sentite nel grande Paese arabo non è una novità. Ma i motivi che lasciano da oltre un decennio al suo posto il generale sono vari.
La protezione internazionale innanzitutto che, nel travagliato contesto locale, l’ha investito del ruolo d’uomo d’ordine facendolo tratto d’unione fra il vecchio laicismo militarista di cui l’Egitto esprime tuttora un modello caduto invece in Libia, Iraq, Siria, le petromonarchie sempre più attive sulla scena finanziario-geopolitica e il furore omicida e razzista d’Israele. In più Sisi continua ad avere dalla sua parte gli egiziani che sopravvivono con la “multinazionale delle Forze Armate” che dà da mangiare a milioni di famiglie i cui membri vestono la divisa o sono occupati nell’apparato statale, oppure lavorano nell’indotto della lobby estesa ad agricoltura, prodotti alimentari, edilizia, manifattura, turismo. Eppure una gran massa, più della metà dei cento milioni di concittadini, è fuori da tale cerchia. Costoro s’arrangiano, vivono come possono, non necessariamente foraggiandosi col traffico del contrabbando di talune aree come nel Sinai, ma stentando davanti a una crisi economica che morde i “non protetti”. Così Mansour si fa paladino del malcontento e serioso e minaccioso, per ora solo dai video, chiede le dimissioni dell’impostore, la liberazione dei 60.000 detenuti, la fine d’un regime. Mossa che pare velleitaria, visto che dal 2016 qualsiasi protesta pacifica è repressa, mentre inefficaci risultavano gli attentati con autobomba nelle maggiori città ed egualmente gli agguati contro i militari nel Sinai. Da anni qualunque azione non ha avuto seguito fra strati popolari oppressi, umiliati, smarriti, impauriti. L’ultimo oppositore noto, Abdel Alaa Fattah, condannato per critiche sui social meno taglienti di quelle del miliziano islamista, ha l’anziana madre in sciopero della fame da oltre cento giorni. Chiede la liberazione del figlio anche al governo britannico, vista la doppia cittadinanza dell’attivista, ma né Sisi né Keir Starmer muovono un dito. Nella contemporaneità politica incrudelita ogni pietà è morta e questo infiamma i pensieri di Mansour e di chi progetta vendette.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it