Sulla ricostruzione della Siria, l’Unione Europea è in difficoltà anche per le ingerenze che arrivano dai palazzi parigini e berlinesi. C’è in ballo anche la gestione di 3,5 milioni di profughi con tantissimi sfollati che sono accampati da anni in precarie tendopoli che potrebbero essere destinate nelle terre di confine tra Afrin-Kobane-Cizre
Alle questioni formali, che comunque risultano sostanziali per quel che si trascinano dietro in fatto di diritti e rapporti fra i generi, su cui s’è soffermata la stampa mainstream che commentava la mancata stretta di mano fra Abū Muḥammad Al Jolani-Ahmed Al Sharaa e la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, si sommano e delineano aspetti che rivestiranno il fulcro del divenire siriano, necessariamente caratterizzato dalle volontà e i comportamenti dell’attuale ceto dirigente proveniente in toto da Hayat Tahrir al Sham, i miliziani scacciatori di Asad. La visita d’inizio anno della coppia franco-tedesca (accanto alla Baerbock c’era l’omologo francese Jean-Noël Barrot) che l’Alta Rappresentante Ue Kaja Kallas ha rincorso come fosse una creatura che sua non era, evidenzia per l’ennesima volta gli indirizzi decisionali della politica europea provenienti non dai palazzi di Bruxelles ma da quelli berlinesi e parigini. Mentre gli europei tengono a ribadire princìpi su diritti parigini e berlinesi. e minoranze sui quali Al Sharaa ha ascoltato gli interlocutori, Qatar, Emirati Arabi Uniti e soprattutto Turchia hanno iniziato a trattare questioni banalmente materiali, ma assolutamente sentite dalla gente: ricostruzione edilizia di città e paesi sventrati dal pluridecennio di guerra interna e d’infrastrutture e servizi (centrali energetiche, strade, scuole, ospedali) danneggiati o polverizzati.
I Paesi dei petrodollari non sono nuovi al ruolo di paladini della solidarietà all’Islam sunnita povero o disastrato, la Turchia erdoğaniana può mettere a disposizione l’apparato statale di Toki, l’azienda creata dai governi kemalisti ma ampiamente gestita dall’apparato dell’Akp dal momento della presa del potere a inizio del nuovo millennio. Toki è stata al centro di polemiche per una dirigenza votata al sostegno dell’attuale sistema di potere, ovviamente a sua volta ripagata dalle copiose commesse governative, però nel bene e nel male ha avuto un ruolo centrale nel supporto abitativo ai superstiti del tremendo terremoto del febbraio 2023 che ha contato cinquantasettemila vittime. Una delle ipotesi che il presidente turco caldeggia è la ricollocazione di ex rifugiati nella Siria della transizione. Il piano mira ad alleggerire, almeno in parte, la tensione che i 3,5 milioni di profughi creano da anni nelle metropoli anatoliche, soprattutto a Istanbul e Ankara. Un congruo numero di siriani sfollati dalle aree rurali sarebbero destinati alle terre di confine che fra Afrin-Kobane-Cizre, costituivano i cantoni del cosiddetto Rojava kurdo. Sarà possibile farlo? Se al posto delle precarie tendopoli, dove tuttora si ritrovano accampate decine di migliaia di famiglie, si dovessero profilare abitazioni più o meno strutturate la lusinga ci sarebbe eccome. Ultimo ostacolo alla “pulizia etnico-politica” è quel che resta delle Unità di Protezione del Popolo, le Ypg kurdo-siriane, che in molti punti sono ‘migrate’ a est mentre proseguono la difesa di Kobane.
Che la situazione bellica interna non sia pacificata e un tratto di territorio continui a vedere presenze armate a ‘macchia di leopardo’ è confermato da notizie di reiterati scontri fra le due fazioni maggioritarie contrapposte in questi anni: il filo turco Esercito nazionale siriano e le Forze democratiche siriane a trazione kurda. Chi comanda a Manbij e sotto di essa, nelle centinaia di tunnel scavati e percorsi in lungo e in largo da differenti manipoli, non è deciso. Sebbene nel mese di dicembre la rotta del regime di Asad ha rafforzato anche qui la presenza degli arabi sunniti a danno dei kurdi che, secondo i primi soggiogavano la popolazione. I punti di vista continuano a divergere, ognuno ha, avrebbe, le sue ragioni come se dodici anni di sangue versato a fiotti non fossero serviti a guardarsi dentro, comprendere errori e orrori e lavorare per il futuro. La Siria di domani di cui molti parlano, ha il volto dell’Al Sharaa se non misogeno alla maniera dei più estremi talibàn, certamente poco disponibile verso la rappresentanza femminile probabilmente non solo esterna come frau Baerbock. E fra i cantieri della ricostruzione, quelli del ritorno dei fuggiaschi, il cantiere della convivenza etnico-confessionale si presenta come il più ardimentoso e rischioso. Specie se dovrà prevedere pure la ricollocazione dei detenuti jihadisti e dei loro familiari ostili a tutto e tutti.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it