Gli interessi economici fanno da padroni nell’intesa tra il presidente turco e uno degli uomini più ricchi del mondo. Al di là delle auto elettriche, il pensiero del leader del paese della mezza luna è rivolto al potenziale bellico, già in buona salute coi droni d’attacco Bayraktar, utilizzati in questi anni su diversi fronti
Nella rimappatura mondiale, economica prima che militare e geostrategica, è tutto un fremito fra i nuovi padroni del globo e quelli che ambiscono a diventarlo, personalmente anche fuori da qualsiasi investitura popolare. Basta essere ricchi come gli imperatori dei tempi andati. I magnati, sempre autoritari, che stanno rilanciando il capitalismo delle origini – puro, duro, crudo e crudele – purgato delle edulcorazioni keynesiane che hanno fatto innamorare generazioni di liberal non solo statunitensi e perdere la testa, e soprattutto la via, alla sinistra pur riformista, sono soppiantate da oltre un trentennio. Com’è stato per il fascismo l’Italietta ha fatto da laboratorio. Il berlusconismo degli anni Novanta disegnava un modello guardato con interesse altrove e imitato e ovviamente ingigantito. Perché se non il potere criminale, di cui il Belpaese è comunque un peso massimo, quello finanziario presenta protagonisti ben più corpulenti capitalisticamente parlando dell’omino della Provvidenza che ha inquinato la nostra democrazia nazionale. Il tornaconto personale, privatissimo è trasformato in interesse pubblico, senza quei distinguo, ormai è d’uso definirli ipocriti, che pure politici di levatura internazionale magari chiacchierati, comunque differenziavano. Il clan kennediano, tanto per fare un notissimo esempio, con tutti i suoi legami legali e illegali aveva pesato non poco sui successi del più amato dei discendenti, il John Fitzgerald della Nuova Frontiera, ma la scia delle maldicenze che riguardavano il presidente si riversava più sulla sua brama sessuale e sulla ragion di Stato che sul desiderio di acquistare con la forza del denaro il potere mondiale. Non è più così e non lo sarà, sebbene certi tycoon (pensiamo agli indiani Adani e Ambani tanto per stare in rima e direzionarsi su Paperoni del presente e futuro) preferiscono coprirsi le spalle con premier acchiappaconsensi in base a una recita comunque elettoralmente fruttifera, vale per Narendra Modi e Donald Trump per restare su colossi globali, poi a cascata ci sono le corti finanziarie di Vladimir Putin o Recep Tayyip Erdoğan.
Proprio fra i purosangue della politica vecchia maniera, che da decenni continuano a galleggiare sopra un mix di consenso incentrato su intuitive capacità, populismo, retorica, finanziamenti del capitalismo cui restituiscono prebende, alleanze e veti incrociati, e i ricconi che scalpitano per impugnare uno scettro come nel mondo medioevale, si creano continui e crescenti ammiccamenti. E’ di queste ore l’approccio fra Elon Musk, nominato Doge (proprio così) per l’efficienza del governo statunitense e il super presidente turco. Il punto d’incontro diventa la tecnologia, che vede il multimiliardario di Pretoria, nazionalizzato statunitense, in prima fila in un pianeta dove con essa accumula stratosferiche ricchezze. SpaceX, Boring Company, Tesla, Hyperloop sono realtà affermate e in via di sviluppo che spaziano, è il caso di dirlo, dal cosmo al sottosuolo, interessandosi di una gamma di trasporti veloci e interplanetari assolutamente futuribili sebbene élitari. Cogliendo al volo l’incarico offerto da Trump al suo geniale pupillo, Erdoğan nell’assise Cop29 di Baku ha dichiarato: “La tecnologia non è un settore in cui si può progredire da soli, sono necessarie partnership. Se si presentano opportunità di collaborazione, siamo aperti a lavorare con Musk“. I due s’erano incontrati un anno fa a New York e avevano parlato dell’ipotesi dell’apertura di una fabbrica di Tesla in Anatolia. Ma forse più che alle auto elettriche il pensiero del leader turco va al potenziale bellico, già in buona salute coi droni d’attacco Bayraktar utilizzati in questi anni su diversi fronti. La Turchia sta già collaborando con l’aerospaziale SpaceX e nel luglio scorso ha lanciato il suo primo satellite di comunicazione, Turksat 6A, da Cape Canaveral. Al di là di simpatie e approcci soggettivi sono questi intrecci fra governanti autocrati e chi su governi, sistemi di potere, affarismo vuol realizzare regni sovrani a costituire l’attuale inquietante realtà. Un sistema di sudditanza definito democratico che di democrazia non ha nulla. Non solo quella partecipativa ormai tramontata ovunque, ma pure la rappresentativa. I governanti chiedono consenso, prospettando ai cittadini un’autocrazia identificativa che si rispecchi nel loro potere e nella loro ricchezza.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it