Continua il massacro di civili da parte dell’Idf che pare aver ucciso il capo di Hamas. Le elezioni a novembre del nuovo presidente degli Stati Uniti non cambierà di una virgola la politica di persecuzione e sterminio di Netanhyau
Il puzzle dell’orrore con cui Israel Defence Forces per primo, e a cascata svariati siti web e conseguentemente media online, hanno esaminato denti e orecchie d’un cadavere eccellente (non dissimile alle migliaia che Israele ha seminato lungo i 42 chilometri della Striscia di Gaza in un anno di stragi) riscontrando che possa essere il gran capo militare di Hamas Yahya Sinwar, offre a Benjamin Netanyahu ulteriore linfa vitale. Corrobora il suo gusto macabro di uccidere, investito del ruolo del grande vendicatore, e se per colpire un nemico giurato si accumulano salme, più o meno maciullate più o meno identificabili, non importa. Sicuramente non importa al governo in carica, ma anche a buona parte dei concittadini che avallano una guerra di sterminio come quella in corso. Non importa al grande vecchio d’Oltreoceano che finisce il mandato e nulla ha fatto per fermare le indiscriminate uccisioni di civili, non quella del mostro Sinwar, di civili inermi. Non importa alla linea estera statunitense in Medio Oriente, che rimarrà inalterata dopo le elezioni di novembre con Kamala Harris o Donald Trump nello Studio Ovale. Perché Washington ha deciso di rimodellare la regione secondo il volere israeliano, con Tel Aviv pilastro dell’alleanza inter araba che passa per Ryadh, Il Cairo, Abu Dhabi fino ai contorni giordani e dopo aver distrutto un già disastrato Libano. Tutto per preparare l’assalto all’Iran, da settimane nel mirino di una punizione “educatrice” seppure di medio cabotaggio come ha patteggiato la Casa Bianca. Ma oltre alla macro geopolitica regionale, assolutamente in divenire e con incognite ed evoluzioni da verificare, prevale il gusto con cui Israele si compiace nel seminare morte.
Una morte diffusa, anche quando sostiene di punire i nemici con omicidi mirati, sapendo che ci saranno ‘danni collaterali’ di due e cinque anni – del tutto trascurabili mentre quando quegli anni appartengono ai suoi figli il raccapriccio e la riprovazione sono totali. Non così per quel popolo infimo che sono i palestinesi, meritori d’ogni castigo… Uccidendo Sinwar Israele potrebbe ritenersi contento e “vittorioso”, soprattutto dopo aver eliminato Isma’il Haniyeh a decine di figure di spicco del Movimento Islamico di Resistenza. Non sarà così, poiché la sua scelta strategica è cancellare non un inesistente Stato Palestinese, ma la sua popolazione, rendendola schiava del proprio volere politico, di piani di metodico annientamento bellico, di persecuzioni alla comunità e alla singola persona. Svilirla a collettività sbandata e umiliata, ridotta a vivere fra reiterate macerie, alienanti fughe, costanti paure, periodiche depredazioni. E’ il volere della lodata “unica democrazia mediorientale” che un pezzo di mondo dovrebbe accettare e che non può accettare. Come non l’accetta quel che resta di Hamas e dei palestinesi con cui quel gruppo si rapporta per scelta reciproca. Yahya Ayyash, Jihad Shehadeh, Ahmed Yassin, Abdel Aziz al-Rantisi, Nabil Abu Selmeya, Jamila Abdallah Taha al-Shanti, Saleh al-Arouri, il ricordo di quelli che la gente di Gaza, non solo i miliziani bardati di verde, definiscono martiri è vivo, come decennio dopo decennio può testimonia ogni cronista passato in quei luoghi. Dopo Haniyeh e Sinwar c’è chi proseguirà a stimolare il desiderio di punizione del Dio Israele. La condanna fra assassini e vittime è reciproca.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it