La tragedia di Antigone si fa rito contemporaneo per rielaborare i lutti della pandemia. Più che uno spettacolo è una celebrazione collettiva

Il cielo sopra Milano era blu cobalto e attraversato da nuvole luminose quando, domenica 15 settembre, gli ottanta spettatori si sono trovati all’ingresso del Cimitero Monumentale con la sua  magnificente  partitura di pietre bianche. Non poteva che tenersi qui, in questa affascinante galleria d’arte a cielo aperto dedicata ai cari defunti, (con la scultura più bella, quell’angelo di Lucio Fontana senza testa  scolpito in ceramica smaltata a gran fuoco nei colori cangianti del celeste, blu, oro e bianco) l’Antigone cerimonia con canzoni del Teatro dei Borgia, compagnia fondata nel 2013 da Gianpiero Borgia e Elena Cotugno, che si inserisce  all’interno di Impacta FestivalLe Arti per i Diritti, organizzato da Pacta teatri, poliedrica compagnia teatrale di Milano che accompagna tutto il mese di settembre grazie alle iniziative di Milano è Viva del Comune di Milano e in collaborazione con Stanze, una rassegna che presenta  spettacoli  esclusivamente fuori dalle sale teatrali (all’inizio nelle case private poi nei musei, un magazzino, un giardino, “per ogni spettacolo cerchiamo il luogo più adatto” come racconta Alberica Archinto che, oltre a curare la rassegna Stanze, si occupa di pedagogia teatrale).

Come già nei precedenti spettacoli, Eracle l’invisibile”, “Filottete dimenticato” e Medea per strada”, il Teatro dei Borgia costruisce i suoi racconti nella rievocazione dei grandi miti in cui si rispecchiano i drammi della nostra contemporaneità per “disturbare il mondo con il teatro d’arte”. Antigone, raccontata nell’omonima tragedia di Sofocle (442 a.C.) è la tragedia greca per eccellenza che parla di morte e di sepoltura negata. Figlia di Edipo, eroina ribelle, infrangendo decreto  il decreto emesso o dallo zio Creonte, il nuovo re di Tebe, appellandosi alle “leggi non scritte degli dei”, in nome di una pietas umana, cerca di seppellire le spoglie abbandonate del caro fratello Polinice (considerato un traditore ucciso in uno scontro fratricida con il fratello Eteocle). Una vicenda di oltre duemila anni che è stata attualizzata nel contesto recente della pandemia. Funerali vietati. E’ stata la storia vera, triste e terribile, di chi ha perso la vita ai tempi del coronavirus, come tutti ben ricordiamo. Fra le misure di restrizione sociale decise per contenere la diffusione del virus, il divieto di assistere ai funerali imposta dal governo con un semplice Dcpm, è stata uno delle più disumanizzanti. Molte persone sono morte lontano dai propri cari. E le loro famiglie non hanno avuto la possibilità di accompagnare la loro partenza. L’impossibilità di dare l’estremo saluto ai propri cari, quell’ultimo gesto d’amore ha reso più straziante, doloroso e difficile l’elaborazione della perdita. Il momento che lo ha reso impossibile, è quello che ce ne ha fatta sperimentare l’importanza per l’elaborazione del dolore. Le esequie sono anche dei “riti sociali”: esprimono in qualche modo la condivisione di un dolore, le relazioni tra il defunto e i suoi conoscenti, la sua famiglia, gli amici, la comunità.

Antigone. Cerimonia con canzoni  cerca di fare proprio questo: propone al pubblico un’esperienza che va oltre il semplice assistere a uno spettacolo teatrale, ma  vuole riunire gli spettatori proprio intorno a un rito: una celebrazione collettiva per rielaborare i lutti della pandemia a cui si invitano gli spettatori. All’ingresso del Cimitero Monumentale Elena Cotugno (che cura anche la drammaturgia) e Gianpiero Borgia (regia) e  Sabino Rociola (chitarra e voce) ci invitano al silenzio “per accogliere dentro di noi i nostri cari che non ci sono più”. Si assapora il silenzio, si ascolta il silenzio. Si presentano, sono Lulù e lo zio Creonte e ci invitano a partecipare alla commemorazione dei loro familiari, se vogliamo possiamo prendere una mascherina dal cesto e scriverci sopra  con un pennarello il nome di un nostro caro defunto.  Insieme si percorrono i viali accompagnati dalle note  di una chitarra   e canzoni come “Knockin’ On Heaven’s Door” di Bob Dylan, oppure “I Wish You Were Here” dei Pink Floyd e dal rumore attutito e leggero dei passi sulla ghiaia, all’ombra dei cipressi, tra sculture, mausolei, i profili delle grandi tombe .

Ci si dispone poi in uno spazio con le sedie a formare una circonferenza, nel centro di questo cerchio lo zio e la nipote Lulù rievocano la triste vicenda di una famiglia colpita dalla morte di due fratelli, uno detto “il buono” e uno detto “lo stronzo”, schiantatisi in macchina contro il muro di un McDonald’s. Per il primo,  morto sul colpo, si sono subito celebrati i funerali, mentre il secondo, deceduto dopo un prolungato ricovero in clinica, non ha potuto avere le esequie essendo nel frattempo scoppiata la pandemia ed essendo stato decretato il divieto. Soltanto qualche anno dopo  dunque i parenti si raccolgono per ricordare quei giorni e celebrare i propri cari e  ricordare il desiderio spasmodico che provava Ninni (Antigone), la sorella un po’ svitata di Lulù, di andare all’obitorio ad abbracciare il corpo del fratello defunto nonostante i divieti della legge, a costo di essere arrestata. Lulù  gira poi tra gli spettatori offrendo tarallucci, olive e mandorle, un rituale legato al cibo da offrire a parenti ed amici  venuti in visita che ha radici antiche. Nel mentre  scende l’ora blu, quel momento magico e brevissimo in cui la luce morente non ha ancora ceduto il passo all’oscurità, e tutto sembra avvolto in una dimensione irreale, solcato da una malinconia sottile, pensando ai nostri cari defunti, riflettendo sulla nostra fragilità e al tempo stesso, ci sentiamo davvero parte di un tutto. E’ arrivato  il momento di accomiatarci:  intorno ad una costruzione in legno con corde e arpioni che simboleggia un salice piangente chi vuole appende quella mascherina su cui è stato chiesto di scrivere il nome di un parente morto. Si ripercorre il viale  accompagnati nuovamente, come al principio, dalla musica di “Buonanotte fiorellino”, a lume di torcia elettrica. Non solo perché ormai è buio. Abbiamo bisogno di speranza, di una luce, che possa illuminare, dare conforto e indicare una via anche nei momenti più bui e difficili.

Un’idea forte, sovversiva, dunque questa rilettura di Antigone, anche se a tratti una nota di leggerezza e di comicità (che vuole compensare la tensione emotiva accumulata), appare troppo dissonante rispetto al tenore complessivo della messinscena e può risultare disturbante. E sollecita una riflessione sul tema della rimozione della morte, nella  società occidentali. C’è uno stillicidio quotidiano di morti. Ma “la morte” al singolare è avvolta dal silenzio, è oscurata. Nessuno ne parla. Perché questo silenzio? E chissà, forse un giorno anche i cimiteri non esisteranno più.

Di Cristina Tirinzoni

Giornalista professionista di lungo corso, ha cominciato a scrivere per testate femminili (Donna Moderna, Club 3, Effe, Donna in salute). E’ stata poi per lungo tempo redattore del mensile Vitality e del mensile Psychologies magazine e Cosmopolitan, occupandosi di attualità, cultura, psicologia. Ha pubblicato le raccolte di poesie Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore, 2014) e Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni, 2010).

1 commento su “L’ Antigone al tempo della pandemia”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *