Un’esplosione di migliaia di modellini AR-924 in dotazione ai miliziani di Hezbollah ha causato nel paese del cedro in quello limitrofo rispettivamente 12 e 7 morti, 4.000 feriti. Il marchio (non dichiarato) porta all’agenzia d’intelligence israeliana
A Taiwan Gold Apollo fa tanto, quasi tutto, dai chip avanzati per iPhone a componenti meccaniche come le viti per i motori, non realizza più ‘cercapersone’ tecnologia anziana, merce degli anni Ottanta. Quel che circola sotto il suo marchio lo fa produrre al partner ungherese Bac Consuting Kft s’è affrettato a dichiarare il presidente dell’azienda di Taipei Hsu Ching-Kuan, visto lo scompiglio internazionale che l’esplosione di migliaia di modellini AR-924 (cercapersone) in dotazione ai miliziani di Hezbollah ha causato in Libano e Siria, con rispettivi 12 e 7 morti, 4.000 feriti, molti dei quali civili, e tante persone in pericolo di vita o destinate a gravi menomazioni. Costoro, maneggiando o conservando l’aggeggio, non immaginavano di diventare un bersaglio. La spettacolarmente criminale operazione porta un marchio non dichiarato: Mossad, l’agenzia d’Intelligence di Tel Aviv i cui adepti trascorrono l’esistenza a troncare l’esistenza altrui. I loro target sono nemici anche quando hanno otto anni come la bambina fulminata nella roccaforte del Partito di Dio mentre passava l’oggetto trillante al papà. Lui era un aderente al gruppo sciita e tanto è bastato per vedere morire la figlia sotto gli occhi. Tutto “ammissibile” – secondo una dichiarazione del Dipartimento di Stato americano – che considera i membri di quella componente libanese “un obiettivo legittimo”. Rischioso è stargli accanto nel quotidiano, com’è accaduto agli inquilini dell’edificio di Dahieh, cintura meridionale di Beirut, esplosi il 30 luglio scorso assieme a Fuad Shukr, il vice di Hassan Nasrallah. Difficile conoscere gli sviluppi del sabotaggio, per certo si sa che il “materiale” era giunto nella capitale libanese cinque mesi or sono.
Si può congetturare che le mini ma micidiali cariche esplosive siano state collocate in loco in magazzini poco controllati, come all’epoca della deflagrazione nel porto. Oppure siano state predisposte nella fabbrica ungherese da agenti infiltrati fra gli addetti alla produzione o dallo stesso personale di Bac Consulting ‘comprato’ e addestrato per la bisogna. Ma la fabbrica non esiste precisano dalla Bac, per cui il mistero di produzione e manomissione permane. Gli esperti dicono che lo scoppio in simultanea fra Beirut, la Beka, il territorio siriano è stato un innesco da remoto, non un cyber attacco. E’ il passaggio a quest’attrezzatura di vetusta tecnologia elettronica, che nelle disposizioni di autotutela doveva preservare i miliziani da intercettazioni di telefoni cellulari e dunque da attentati con missili e droni, ad essersi trasformata in una trappola per Hezbollah. Agenti esterni o infiltrati hanno captato la notizia della commessa e da lì è stato predisposto il piano di sabotaggio. Un lavoro in grande stile, come il danaroso e specializzato apparato del Mossad sa e può fare. Indubbiamente l’iniziativa rappresenta l’ennesimo smacco alla sicurezza sciita – libanese e iraniana – che porta a livelli sempre più tecnologici e articolati il conflitto in atto. La guerra del presente e del futuro non ha attimi e luoghi di tregua. Impegna di giorno e di notte, nella veglia e nel sonno i soggetti coinvolti: militari, miliziani, parenti, amici, chi vive accanto e chi per qualsiasi motivo s’avvicina all’obiettivo. E’ ovviamente guerra psicologica, volta a destabilizzare l’individuo che non ha case, bunker, tunnel, tane né apparecchiature e armi per sentirsi sicuro. Chi domina la tecnologia s’avvantaggia, però non comanda in assoluto. Il nemico dev’essere annientato, in toto. Se un solo soldato, miliziano e bambino restano in vita, possono organizzarsi per la rivalsa. Talvolta intimorire è più controproducente dello sterminare. Gli uomini della guerra lo sanno, i politici che si servono di loro pure. Benjamin Netanyahu ha scelto lo scontro a ogni livello, Nashrallah parlerà domani.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it