Le proteste, che sono costate sei vittime, rivendicano una selezione meritocratica per gli impieghi pubblici, che privilegiano sempre di più i nipoti dei combattenti dell’Indipendenza del 1971. Sei anni fa il governo s’era visto costretto a eliminare la norma per la contestazione diffusa nel Paese. Ma la leader Hasina insiste sulla strada del passato
Più del fuoco dell’indipendenza, lontano oltre mezzo secolo, sono le conseguenze economiche e i privilegi a rinfiammare in questi giorni le strade di Dacca, Chittagong e altri centri del Bangladesh. Si scontrano con armi improprie ma capaci di far male e uccidere fazioni di studenti pro e contro il governo della premier Sheikh Hasina, al potere ininterrottamente da un quindicennio, dopo esserlo stata a metà anni Novanta. E’ lei a voler conservare spazi privilegiati ai figli e ormai ai nipoti dei combattenti per l’indipendenza del 1971. Costoro godono di quote protettive per l’accesso ai ben remunerati impieghi pubblici, ai quali altri giovani ambiscono e si sentono discriminati. Quest’ultimi rivendicano una selezione meritocratica per quegli impieghi, considerando la misura che la leader vuole mantenere un anacronistico retaggio del passato. Sul tema proteste c’erano già state sei anni fa, e il governo s’era visto costretto a eliminare la norma. Di recente l’Alta Corte del Paese si è pronunciata contro la sospensione, rilanciando la misura d’un terzo delle assunzioni riservate ai parenti dei reduci. Nei tumulti finora si registrano sei vittime, reparti anti sommossa sono stati schierati per via più con l’intento di dissuadere e contenere che di schiacciare una protesta che dopo due giorni continua a montare, occupa stazioni e binari ferroviari, vede partecipare anche le studentesse solitamente esenti da manifestazioni. La polizia non ha esitato a sparare proiettili di gomma, tre delle sei vittime sarebbero state uccise in questo modo, sebbene il governo neghi.
Dietro le dirette motivazioni dello scontro alberga anche un conflitto fra il partito della Hasina, Lega Awami, e lo storico partito nazionalista, conservatore che riceve l’appoggio dei ceti medi e della casta militare. All’esordio come primo ministro (1996-2001) Hasina aveva incentivato l’economia, aprendo spazi a investimenti privati con cui poneva un rimedio alle ampie sacche di povertà presenti nel Paese, che oggi conta 170 milioni di abitanti. L’intento della leader della Lega Awami è stato quello di attrarre capitali esteri per disporre di fondi da destinare a una sorta di politica sicurezza sociale rivolta a determinate categorie: un certo numero di anziani poveri, vedove, donne abbandonate, disabili. Agli ultimi due gruppi, nella misura contesa in questi giorni dalla piazza, spettano il 10 e il 6% dei posti pubblici. Insomma la storica premier nel proporre da circa trent’anni un’ammortizzazione sociale, è finita a realizzare un populismo politico che le garantisce popolarità e voti, ma conserva sacche di privilegio verso soggetti per nulla bisognosi e di fatto discriminanti nei confronti di quei giovani che ora la contestano. Il passato non è stato sempre rose e fiori per la Hasina, comunque ben vista dalla comunità internazionale occidentale (i suoi figli vivono negli Stati Uniti) per un approccio economico volto a un liberismo morbido. Nel 2007, quando il suo partito era finito all’opposizione, venne arrestata per estorsione. Quindi sulla base d’un presunto tentativo di attentato nei suoi confronti ordito da oppositori, venne liberata.
La resurrezione politica si materializza nel dicembre 2008, il successo elettorale la riporta alla guida del Paese e il populismo riprende: impegno contro il carovita, ancora rete di sicurezza per i poveri, sistema giudiziario imparziale e rilancio dei diritti umani. A seconda dei casi disatteso: fece scalpore nel 2012 il rifiuto di accogliere profughi rohingya in fuga dal Myanmar. Il seguente successo elettorale nel 2014 era macchiato da proteste e contestazioni per violenze e brogli operati dalla Lega Awami, eppure la comunità internazionale, attenta altrove a denunciare questi casi, non mosse un dito. Nel 2016 Hasina volava al G7 in Giappone come ospite dei suoi protettori. L’anno seguente una svolta: il Bangladesh concede rifugio a circa un milione di profughi rohingya e il Paese sfoggia due sottomarini nel suo arsenale militare. Nel 2019 la premier rivince l’ennesima tornata elettorale conquistando 288 seggi su 300 (votò circa il 40% dell’elettorato), e il debito fiscale che nel biennio 2021-22 segnava un aumento del 238% rispetto al decennio precedente, ricevette un sostegno del Fondo Monetario Internazionale. Circa cinque miliardi di dollari per l’ormai nonnina sola al comando. Dribblando scandali, accuse di corruzione e attentati (nella biografia ne vanta addirittura diciannove) Hasina è ancora lì. Non sarà un gruppo di studenti scalmanati a farla cadere. Questo pensa sotto il velo.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it