Una performance di Elyla Sinvergüenza

Fino al 26 luglio, alla Galleria Playlist in via Carlo Poma, 18, un nuovo spazio sperimentale aperto a Milano, la video performance The Rebels Were Waltzin’ on Air di Elyla

Elyla a Nicaragua, Venezuela

La performance come strumento di attivismo politico sovversivo. Inaugurata il l 6 giugno (il mese del Pride e dell’orgoglio lgbtq+ in tutte le sue espressioni performative) è ancora visibile fino al 26 luglio, alla Galleria Playlist in via Carlo Poma, 18, un nuovo spazio sperimentale aperto a Milano da Giampaolo Abbondio, la video performance The Rebels Were Waltzin’ on Air di Elyla Sinvergüenza. Nata nel 1989 a Chontales, Nicaragua,  Elyla (alias Fredman Barahona) performance artist e attivista queer, spesso messa al bando nel suo paese, si è affermata come figura cruciale nel panorama artistico globale tanto che il nuovo direttore Adriano Pedrosa l’ha voluta alla sua Biennale Arte di Venezia 2024 (aperta dal 20 aprile al 24 novembre) dal titolo già evocativo Freigners everywhere (Stranieri ovunque)  che ospita  oltre 300 artisti, con un’attenzione particolare ai temi dell’arte indigena e queer.  

La performance di Elyla

 Elyla si definisce  una cochónx barro-mestiza. “Un gay è un omosessuale con una macchina, con una casa, con un lavoro”, ha spiegato Elyla. “Un cochón è qualcuno che vive, che lotta, che è per strada… che non trova lavoro perché non si adatta la logica classista… perché è molto nero”. L’artista ha coniato il termine barro-mestiza  (fango di mescolanza etnica) per prendere le distanze dall’accezione comune di mestizaje  (meticciato) e reclamare la propria discendenza indigena. “Nel mio lavoro mi interessa riscoprire la memoria di ciò che “siamo” adesso attraverso nuovi approcci e letture di antiche pratiche culturali”, dichiara l’artista, che continua a vivere e lavorare a Masaya, Nicaragua. Nel 2013 co-fonda Operación Queer, un collettivo che sfuma i confini tra arte e attivismo, facendo a brandelli il machismo, prendendo posizione anche contro il colonialismo del pensiero, ancora oggi  dominante sotto l’ombrello della retorica dell’inclusione.

Nella performance visibile nella galleria milanese, Elyla sfila per le strade di Masaya (la città dei fiori, epicentro nazionale del folklore e storico bastione della resistenza) con la sua barba arruffata, i suoi tatuaggi, un pesantissimo abito performativo tagliato con il machete, avvolto in una fantasmagoria di piume colorate: usa il suo corpo in un atto di autodecolonizzazione. E ha la suggestione (e la provocazione) di una via crucis sacra e profana.

Gli strumenti di Elyla

Torita-encuetada è invece la  video performance (regia del  nicaraguense Milton Guillén e le musiche di Susy Shock e Luigi Bridges), allestita alla Biennale Arte, dedicata alla liberazione dal giogo coloniale attraverso un rituale del fuoco che affonda le radici in una un’antica pratica rituale nicaraguense durante la celebrazione delle feste, quella del toro encuetado (in fiamme). Una tradizione aborigena in chiave queer che  diventa una pratica rivoluzionaria del presente contro discriminazione e violenza.

Di Cristina Tirinzoni

Giornalista professionista di lungo corso, ha cominciato a scrivere per testate femminili (Donna Moderna, Club 3, Effe, Donna in salute). E’ stata poi per lungo tempo redattore del mensile Vitality e del mensile Psychologies magazine e Cosmopolitan, occupandosi di attualità, cultura, psicologia. Ha pubblicato le raccolte di poesie Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore, 2014) e Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni, 2010).

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