Le sculture di Giancarlo Sangregorio

Un viaggio alla ricerca di un artista di spicco nel panorama internazionale, ancora poco conosciuto al grande pubblico, ma tutto da seguire e scoprire

“L’humus in cui nasceva dentro di me l’idea di scultura era sorretto dalla luce”. Per comprendere la poetica di Giancarlo Sangregorio (Milano  1925-Sesto Calende 2013) uno scultore di spicco nel panorama internazionale, ancora poco conosciuto al grande pubblico, ma da scoprire, non si può prescindere dalla luce quale movente della visione delle cose sulla terra. Luce e terra si fondono. In questo sta l’atto di fede della creazione artistica: divenire tutt’uno con la luce: “materia-luce, non luce che si posa sulla materia”. Inizia a scolpire opere in marmo, da autodidatta, utilizzando il materiale estratto dalle cave della Val d’Ossola. Poi è sempre più indirizzato alla sperimentazione di diversi materiali: marmo, pietra, legno e vetro. Materiali vivi parlanti lingue così diverse, ha scelto di indagarli senza sosta e di farli dialogare e tra loro con la forza delle sue mani. “Degli incastri di spazio e tempo, ho cercato la quinta dimensione, oltre la staticità e oltre la gravità, ho cercato di aggregare delle forme e dei materiali diversi, come il vetro e il marmo, in uno spazio libero”. Un gioco di incastri ed equilibri emozionante. Il lavoro di Sangregorio è un affrontarsi e compenetrarsi, agganciarsi e respingersi di forme, volumi, spazi, del legno e della pietra, i due materiali più antichi entrambi trattati col taglio diretto. L’opera è al tempo stesso piena e vuota, pesante e leggera, distrutta e ricomposta.

Giancarlo Sangregorio

Le  sue sculture ricordano cromlech, menhir primitivi, forme totemiche, dolmen nuragici, masse forti, tornite in espansione verticale o raggomitolate, e sollecitate da una controllata tensione, testimoni silenziosi ed enigmatici, rispondenti a una volontà espressiva di grande energia poetica e di estremo vigore fisico, caratterizzato da un procedere “in togliere”, per salvare il fascino del segreto rispetto al tutto dichiarato. Tutto, nell’artista, sembra richiamare ciò che è arcaico, mitico e ciò che in qualche modo ci apre a “migrazione  nell’ignoto”, tutte quello che oggi dove a dominare è la potenza della tecnologia ci manca e alla quale siamo come esseri umani costantemente richiamati.

Sculture che sfidano la forza di gravità della materia, creando l’impressione di una presenza leggera, quasi immateriale. Il vuoto inevitabilmente legato al pieno, la densità del vuoto e l’immaterialità del pieno. Scolpire per Sangregorio significa liberare la forma dalla pesantezza, sprigionare l’anima della forma. Con rispetto e vigore. Farla librare in un nuovo spazio. Accadimento ignoto. In un testo definisce l’approccio per scrutare la sua opera: “è richiesto un atto di fede”. O meglio, una “migrazione nello sconosciuto”.

La scultura abita qui. Lungo una strada che si arrampica nei boschi, sopra Sesto Calende, a un certo punto, nella frazione di Cocquo, in un piccolo spiazzo, compaiono sculture alte tre, quattro metri, mentre a sinistra si apre un cancello di legno. Siamo arrivati alla dimora-laboratorio-studio, dove Sangregorio si ritirò nell’ultima parte della vita, e dove ha sede la Fondazione che porta il suo nome presieduta da Francesca Marcellini (aperta al pubblico su prenotazione), costituita nel 2011 per volere dell’artista stesso, con l’obiettivo di creare un centro d’arte contemporanea. Un edificio stile Alvar Aalto, come sospeso, realizzato alla fine degli anni Cinquanta, incastonato nel verde lussureggiante e da cui si gode di una vista mozzafiato del Lago. Tutto, materiali, architettura è ricerca di un accordo e con la natura. Una casa-museo, che raccoglie oltre 300 sculture, migliaia di grafiche, tele e disegni e una corposa collezione di arte primitiva da Africa, Oceania e Oriente. Vi sentirete catturati e ispirati in un luogo magico e spirituale, lontano dal nostro spazio e tempo imposto dalla città e della velocità. Terra, cielo, silenzio.

La Fondazione Sangregorio dall’esterno

L’ampia sala è il cuore della casa, con ampie finestre che contribuiscono  a riflettere la luce in modi imprevedibili. Una stanza immersa nella silenziosa bellezza. Al centro un immaginifico tavolo dell’artista in legno pietra e marmo scuro. Sculture e maschere di arte africana e dell’Oceania dialogano con opere donate da artisti suoi amici, tra cui Enrico Baj, Lucio Fontana, Mario Raciti, Mimmo Rotella, Emilio Scanavino e molti altri. La libreria color avorio custodisce  parte dei libri della ricca biblioteca recentemente censita da Emanuele Beluffi: testi di antropologia, i libri di André Malraux sulle pitture rupestri, studi intorno a stirpi perdute, a città sommerse, le Atlantidi dei piccoli popoli, libro con le poesie di Wystan Hugh Auden, molti rari se non introvabili e alcuni con dediche autografe di critici, artisti e scrittori.

L’entrata della Fondazione Sangregorio

Per Sangregorio c’è un rapporto tra parola e scultura, tra ciò che è scritto e ciò che è scolpito. “Anche la poesia può affidare alla seducente spazialità della scultura le lettere dell’alfabeto per ottenere arcane consonanze”, scrive l’artista in Migrazione nello sconosciuto (edito da Skira) una raccolta di  poesie (“vivere ai piedi/ di grandi alberi/percossi da un vento che/ ci fenderà come scure nel legno”), annotazioni  istantanee, pensieri  e riflessioni (il più delle volte annotate su cartoncini di scarto)  “un “diario di arte“, lo definisce il curatore Davide Brullo.  

“Avevo già dentro di me l’idea di scultura fin da bambino e quest’idea mi dava felicità”. Giancarlo Sangregorio nasce a Milano nel 1925. Trascorre da giovane lunghi periodi in Val Vigezzo dove, affascinato dalla materia, inizia a scolpire come autodidatta opere in pietra eseguite nel taglio diretto delle cave dell’Ossola. Compie studi classici e frequenta i corsi dell’Accademia di Brera dove è allievo di Marino Marini e di Giacomo Manzù. Nel 1952 prepara la sua prima mostra personale a Milano.  Soggiorni spesso in Versilia, lavora il marmo delle Apuane e modella figure e ceramiche nelle fornaci di Viareggio. Questo è anche il periodo di viaggi studio all’estero, con frequenti soste a Parigi, dove successivamente apre uno studio. Nel 1964 è di nuovo invitato a La Biennale di Venezia. Oltre alle mostre personali, ha partecipato a importanti mostre collettive in patria e all’estero (Francia, USA, Messico, Argentina, Jugoslavia, Giappone, Belgio, Svizzera, Germania…) ha disseminato ovunque le sue sculture. In Francia, Bruxelles, Düsseldorf, Stoccarda, Basilea, Gottinga e Friburgo.

Altra vista della Fondazione Sangregorio

Irrequieto e curioso. Nei primi anni Settanta, è in Africa, nel Mali  tra i Dogon (“Mi piacciono i Dogon, i veri animisti politeisti razionali ancora individuabili, ognuno parte della propria idea cosmogonica rurale e cosmica, flessibili nella geometria variabile”, scrive). Sarà poi la volta di un viaggio in Oceania che lo porta nel villaggi lungo il corso del  grande fiume misterioso Sepik, dove, rimase colpito dalle  delle maschere  tribali magistralmente scolpite in legno e le sculture dei grandi spiriti.  

Passeggiando per Milano è possibile ammirare ad esempio le sculture  in pietra per i Giardini pubblici di viale Forze Armate, il grande monolito in travertino all’Istituto Case Popolari di viale Romagna, nell’ex Palazzo Olivetti in via Clerici l’opera in marmo e lastre di cristallo Itinerario nel Vuoto.

Info

Fondazione Sangregorio Giancarlo

 Via Cocquo, 19, 21018 Sesto Calende (Varese)

 Sito web: http://fondazionesangregoriogiancarlo.it/

Telefono info. 3383545289, mail: info@fondazionesangregorio.it

Di Cristina Tirinzoni

Giornalista professionista di lungo corso, ha cominciato a scrivere per testate femminili (Donna Moderna, Club 3, Effe, Donna in salute). E’ stata poi per lungo tempo redattore del mensile Vitality e del mensile Psychologies magazine e Cosmopolitan, occupandosi di attualità, cultura, psicologia. Ha pubblicato le raccolte di poesie Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore, 2014) e Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni, 2010).

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