Al Teatro Strehler è andato in scena, fino al 9 giugno, “Antonio e Cleopatra”, uno dei drammi più evocativi del grande drammaturgo Shakespeare, con una nuova traduzione curata del regista Malosti con la scrittrice Fusini
C’è una fascinazione ipnotica in questo Antonio e Cleopatra degli affiatatissimi Valter Malosti e Anna Della Rosa nei rispettivi panni i di “Antonio e Cleopatra”, il nuovo spettacolo diretto da Valter Malosti (con una nuova traduzione curata dallo stesso Malosti insieme alla scrittrice Nadia Fusini ) che ha il merito di riportare alla ribalta uno dei drammi i più alti ed evocativi di tutta l’opera shakespeariana, ma anche la meno rappresentata, andato in scena al Teatro Strehler di Milano approdo di una lunga tournée.
C’è qualcosa di ipnotico nella sua ” dismisura”: esagerato nel rimescolamento dei generi ,quasi due ore e mezza la durata dello spettacolo senza intervallo, mischiando incessantemente comico e tragico, solenne e grottesco, in cui l doppio è continuamente reiterato: ordine e disordine, amore e morte, Occidente e Oriente, regalità e volgarità passione erotica e smania di potere, nel loro groviglio quasi inestricabile. Tra ossimori visivi: i contrasti dei costumi (di Carlo Poggioli) tuniche romane in stile peplum, corazze, giacche di pelle glam rock , parrucche settecentesche dei protagonisti, una valigia stile anni ‘40 (di Ottavia, la moglie di Antonio). Il contrasto beffardo fra la tessitura poetica ricamata dai versi eccelsi del Bardo e la una recitazione dai toni volutamente esasperati. Si ironizza con il mito, con pose da statuaria greca ( a un certo punto comparirà anche una statua equestre senza zampe su cui monterà trionfante Cleopatra) unite ad atteggiamenti e virtuosismi da recitazione classica. E su tutto, quel folle senso di libertà assoluto che la regia di Valter Malosti sceglie di mettere in risalto. Perché come chiosa il regista “i due straripanti protagonisti pericolosamente vitali eccedono ogni misura per affermare la loro infinita libertà”.
Nel primo tableau , Antonio e Cleopatra , la coppia più celebre di amanti della storia, sono in seduti su troni imponenti. Hanno pose esageratamente , ostentatamente ieratiche, da commedianti di sit-com, con tanto di applausi e risate fuori campo. La scenografia (di Margherita Palli) che sembra ispirata a un quadro metafisico di Giorgio De Chirico, dominato da forme geometriche e colori vividi, con le mura di una fortezza antica, trasporta però subito lo spettatore in una atemporalità straniante. L’uso di luci e ombre (disegno luci di Cesare Accetta) accentua ulteriormente l’atmosfera irreale. E fin da subito si comprende allora che è qualcosa che ha a che fare con la morte, l’aldilà, il trapasso. Antonio e Cleopatra escono ed entrano in scena su una pedana mobile scorrevole sui binari, da una apertura circolare, che sta dentro la fortezza inaccessibile, quasi da oltretomba o una sorta di backstage psichico. Si ergono statuari in quegli scranni di pietra che evocano catafalchi monumentali quasi attendendo il riscatto da una fatale condanna della storia: lei la puttana, la lussuriosa, lui Antonio, il condottiero romano succube della passione di eros, che fa la bella vita in Egitto fra baccanali. Marciando così senza pudore a precipizio verso la rovina. La commedia è anche tragedia. Tragico uragano che infuria nell’urto tremendo di eros, di morte e di regalità. Tragedia senza confronto a paragone dell’idillio di Romeo e Giulietta!
Parliamo di Antonio. C’è qualcosa forse “ai limiti del ridicolo” in questo Antonio, completamente sedotto da Cleopatra, “demente d’amore” come viene descritto nella prima scena dai messi romani, o “Buffone tragico” come lo definisce il regista Valter Malosti, che ne fa, con la sua interpretazione, un gigione incorreggibile con una giacca di pelle rossa lunga e una parrucca da personaggio settecentesco. Eppure c’è qualcosa di tragico in questo Antonio nella seconda parte (la più intensa) che cerca la giovinezza passata, combattuto fra la passione e l’ambizione del potere, che crede di potersi strappare alla sinistra malia della “puttana tre volte incostante”, e trova la forza di correre a Roma e perfino di architettare un matrimonio politico con la sorella di Ottaviano. Ma che vale? Il ritorno fra le braccia di Cleopatra indimenticabile sarà anche più voluttuoso, imbevuto di un’angoscia fonda e amara. Antonio ha abbandonato Roma, la moglie, la vita politica e militare, per quella donna che, per i suoi detrattori, è soltanto , una “infame egiziana”, “fatale incantatrice”, “vera zingara» e strega “(sempre Shakespeare), “la lussuriosa” per il Dante), Ma proprio in questa donna Antonio trova invece il senso più profondo della sua vita. Nel tormentato ruolo di Antonio, Malosti esprime con solennità una forza drammatica con l’ottimo mestiere di cui dispone, senza la tentazione di quell’autocelebrazione attoriale a cui non ha invece saputo resistere (eccedendo un po’) nella prima parte dello spettacolo. “da buffone”.
Che dire della recitazione di Anna Della Rosa? Ancora e sempre strepitosa. Sicuramente magnetica. Non smette mai di sorprendere in ogni sua interpretazione. Qui è una Cleopatra capricciosa quanto basta, passionale e manipolatrice ma allo stesso tempo una donna preda della gelosia. Un impasto di calcolo e di sincerità sfrontata, di sensualità divorante, di raffinatezza e di volgarità. Ora seduttrice, ora innamorata, ora comica, ora sconsolata e ironica (“Oh perfido amore! Dove sono le sacre fiale che avresti dovuto riempire di dolorose lacrime? Adesso solamente vedo nella morte di Fulvia come sarà accolta la mia”).. Volutamente sopra le righe ma senza inciampare nel ridicolo. Grottesca ma mai finta. Infine, una Cleopatra regale e solenne, e di sconvolgente modernità. Sarà capace di morire, sovranamente donna e regina, non per Antonio soltanto, da amante disperata, ma anche, e più, per non non subire l’umiliazione di essere portata schiava in catene a Roma dal vincitore, a farsi esibire come preda e assistere alla visione di “qualche giovanotto avvilire la mia grandezza in atteggiamento di puttana”(Shakespeare).
Nel finale l’ambientazione è improvvisamente anni Trenta. Cleopatra è davanti allo specchio per il trucco nel camerino come fosse una diva del cinema hollywoodiano con la sigaretta in mano. Si uccide, non più col morso di un aspide (né con una overdose come nella “Cleopatràs” di Giovanni Testori sempre per la regia di Malosti, interpretazione per cui è arrivata in finale ai Premi Ubu 2021 come miglior attrice), ma con un colpo di pistola quando arriva il fantasma di Antonio (disperato si è pugnalato allo stomaco con una spada, pochi giorni prima) con un mazzo di rose rosse. Inafferrabile e inconoscibile, lussuriosa e libera, fiera e regale, superbamente attrice, la Cleopatra di Anna Della Rosa ha conquistato il pubblico dello Strehler. A gridare “brava”, sotto uno scroscio di applausi. Le auguriamo di vincere questa volta il primo premio agli Ubu 2024 che verranno consegnati a dicembre.
Accanto a Malosti e Della Rosa, una magnifica squadra attoriale: Dario Battaglia e Danilo Nigrelli rispettivamente nei ruoli di Cesare Ottaviano, Dario Guidi nei panni di Eros dalle ali nere, Noemi Grassi (Iras, l’ancella rozza e sensuale di Cleopatrala), Carla Vukmirovic (una sconsolata Ottavia,) Massimo Verdastro (l’indovino), Ivan Graziano (un viscido Agrippa) e ancora Paolo Giangrasso, Flavio Pieralice, Gabriele Rametta.
La qualità della produzione è molto alta. E questo livello traspare chiaramente su molti piani. Dalle scene, di cui abbiamo già parlato firmate da Margherita Palli che richiamano le atmosfere metafisiche di Giorgio de Chirico. Al progetto sonoro affidato al GUP Alcaro: un sottofondo musicale forte, tenebroso, vibrante e cupo, con un pregevole cammeo live all’arpa celtica di Dario Guidi. Un plauso speciale per il lavoro sulle luci di Cesare Accetta, uno dei più importanti fotografi e lighting designer italiani (che ha trionfato agli UBU 2023 con il disegno luce della Cupa di Mimmo Borrelli). La luce irrompe a rivelare lo spazio teatrale, trasmettendo a tratti interessanti effetti di straniamento in un continuum narrativo con la scenografia metafisica. Scolpendo di luce a volte violenta i volti e i corpi degli attori. Nell’oscurarsi e o nel riaccendersi, “spostandosi” fra Roma e Alessandria di Egitto. La casa di Cesare e il Palazzo di Cleopatra.
Nel complesso una messa in scena grandiosa. Ma perfettibile. Nonostante rimanga sempre un po’ sopra le righe, il grottesco che domina la prima parte ci è parso ridondante, persino estenuante, con il risultato di appesantire il bel ritmo serrato ed incalzante dei diversi registri come avviene poi nel prosieguo della spettacolo. Magistralmente.