Il primo ministro indiano Narendra Modi. Credits Manish Swarup)

Perdendo più di sessanta seggi, il partito del premier non raggiunge il quorum neppure per formare l’esecutivo

Un ridimensionamento lungo 44 giorni che consentirà comunque a Narendra Modi di guidare la ciclopica nazione indiana, che però lo ingessa limitandone le agognate riforme. A  cominciare da quella costituzionale che probabilmente non farà per non rischiare di vederla bocciata dal referendum popolare, necessario perché il Bharatyia Janata Party non ha i numeri per evitarlo. Perdendo più di sessanta seggi il partito del premier non raggiunge il quorum neppure per formare l’esecutivo, lo raccoglie nella National Democratic Alliance grazie agli iper liberisti di Telegu Desam e alla formazione locale Janata Dal che portano la supremazia nella Lok Sabha a 292 deputati.

Rahul Gandhi, presidente del Congresso nazionale indiano

Nel 2019 303 li aveva piazzati da solo il Bjp, che in ogni caso festeggia, cercando di oscurare la vera gioia dei partiti d’opposizione saliti a 235 deputati, ben 116 in più di cinque anni or sono. E se ci si son messi in ventisei a contrastare il grande capo hindu attraverso la coalizione denominata India (Indian National Developmental Inclusive Alliance) sono soprattutto tre i gruppi a costituire l’ossatura anti Modi. Il vecchio National Congress, ringiovanito col volto di Rahul Gandhi che sfiora i cento scranni parlamentari, Samajwady Party e All India Trinamool Congress tutti capaci di rosicchiare seggi in alcuni feudi del Bharatyia: in Uttar Pradesh, West Bengal e Maharashtra si sono registrati i crolli maggiori per il partito di maggioranza. In lieve calo la percentuale di voto (66%) che in ogni caso fa registrare cifre da capogiro: 642 milioni di elettori.

L’immensa India colpisce l’immaginario globale e vuole far pesare proprio l’elemento partecipativo dei cittadini nei momenti istituzionali. Ma alla parata delle schede l’opposizione lanciava un grido d’allarme per una democrazia da difendere contro la polarizzazione cercata negli ultimi anni da chi resta al potere. L’avvertimento ha convinto molti indiani a porre un argine alla deriva confessionale e razzista. Una maggioranza relativa ma cospicua vuole seguire il guru Modi, popolarissimo e veneratissimo, in capo al mondo che promette di conquistare a suon di affari e diplomazia. Sebbene l’iniziale reazione dei mercati al suo successo dimezzato stia  penalizzando i titoli delle società dei ricconi che gli sono amici e finanziatori: in svariate Borse quelli del tycoon Gautam Adani risultano in caduta libera. Narendra si ripresenta sulla scena con fare ascetico, dovrà fare miracoli per stupire ancora i sodali interni e internazionali. Tanti indiani cominciano a ricredersi.  

articolo pubblicato su  http://enricocampofreda.blogspot.it

Di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022

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