Un momento dello spettacolo. Credits MasiarPasquali

La conversione  musicale dell’attore ammaliato dal grande compositore italiano. Tutto questo è andato in scena dal 22 al 26 maggio al Teatro Strehler di Milano, in occasione del centenario della morte del grande artista

Toni Servillo di bianco vestito entra in scena in mezzo all’orchestra (tutti in un abiti da sera neri) esclamando: “Non mi dirai che ti piace Puccini! A me no, niente, zero, anzi: meno di zero!”, con quel suo sorriso sornione, fra ironico e sarcastico, in un gioco di sguardi complici con la direttrice d’orchestra Gianna Fratta sul podio e con il pubblico in platea . Nel centenario della morte del celebre compositore (avvenuta il 29 novembre del 1924 in un ospedale a Bruxelles, dove era stato sottoposto ad una operazione a un tumore alla gola) è andato in scena (dopo una lunga tournée) al Teatro Strehler di Milano  Puccini, Puccini, cosa vuoi da me, un divertissement tra parole e musica e bel canto. Protagonisti l’istrionico attore di cinema e di teatro (entrato nella lista dei 25 grandi attori del ventunesimo secolo pubblicata dal New York Times), l’Orchestra Sinfonica di Milano, la direttrice  d’ orchestra Gianna Fratta,  il soprano Maria Tomassi e il tenore Max Jota. Regia di Giuseppe Montesano,  autore anche del  testo:  intenso, colto, molto denso di citazioni, che scivola  leggero però nel tono frizzante di un Servillo, istrionico, irresistibile più in forma che mai. Impossibile distrarsi. In una scaletta brani celebri tratti da La Bohème, Tosca, Madama Butterfly,  Manon Lescaut ( peccato l’assenza di un aria di Turandot o della Fanciulla del West ). Impossibile non commuoversi. 

La storia è semplice, ma originale . Montesano ha creato un personaggio, un dandy, un intellettuale un tantino snob e spocchioso di mezza età, amante della musica moderna di Arnold Schönberg e Karlheinz Stockhausen  che si è  innamorato di una giovane donna. Qualcosa in questo idillio  però tra i due si incrina:  lei ama la musica di Giacomo Puccini. Così, quando lei fa partire un’aria di Puccini, lui sobbalza: “Ma come? Ti piace Puccini? Quel sempliciotto smielato di Puccini?”.  E lei di tutta risposta: “Ma davvero non ti piace Puccini? Com’è possibile?”. E gli regala un biglietto per una serata con le più belle e celebri arie pucciniane.

Toni Servillo

Ne scaturisce un divertissement dotto come una lectio magistralis, e leggero  come una piuma  che trae spunto dal vivace dibattito che si sviluppò sulle musiche del compositore già mentre lo stesso era in vita.  Anche Puccini, amato in vita dal pubblico, l’autore più udito e rappresentato dell’universo, aveva (e  ha ancora) i suoi detrattori. Contestato dalla critica, scontò a lungo l’ostilità di una classe intellettuale pseudo-elitaria imbevuta di pregiudizi. Non gli mancarono accuse di mediocrità, scarsa originalità, di  sentimentalismo zucchero e superficiale, la semplicità di un composizione priva di solennità, gli rimproverarono persino di essere un tombeur de femmes.

La pensa così anche Servillo, o meglio il suo personaggio, che si chiede come mai sia possibile che alla donna di cui è innamorato e alla quale piacciono poeti sottili e raffinati come Rainer Maria Rilke e Georg Trakl, e che adora  la musica dissonante di Schoenberg e Anton Webern,  possa poi considerare Puccini un grande. Ma  qualcosa accade, brano dopo brano Servillo ascolta, analizza, critica, ironizza. Un po’ si irrita un po’ commenta. Boheme ha i tempi scenici giusti, delle trovate geniali, dei dialoghi incisivi come quel “Come vivo? Vivo!” recitato da Rodolfo, eppure qualcosa non lo convince, “tutto un po’ svenevole, tutto un po’ troppo semplice”. L’ironia e la a diffidenza cominciano a incrinarsi, quando la soprano Tomassi, una Tosca  totalmente indifesa, sconvolta si rivolge a Dio e canta l’aria Vissi d’arte, vissi d’amore. Tosca  “è un trattato di psicologia in pochi versi”: la folle gelosia di lei, la passione travolgente, la resa di fronte al fuoco dell’amore, sembra bravo questo Puccini eh, però anche qui qualcosa pare non tornare”, 

La resa è vicina, con lo  straziante finale di Manon Lescaut con quel suo  grido disperato Non voglio morire. “C’è in Puccini la modernità del concentrarsi in poche parole. In Manon Lescaut c’è tutta la ribellione romantica, leopardiana, di chi si ribella al destino. Puccini tocca le corde più profonde dell’animo umano: il senso della vita è questo allora, non il dolore, non la fredda morte, non la sofferenza ma l’amore, forte e incondizionato verso gli altri e verso la vita stessa”. Il colpo finale viene dato nel terzo atto della Madama Butterfly  quando Cio Cio San dall’acuto scende al tono piano di un parlato e  saluta per l’ultima volta suo figlio e con voce fioca invita il bambino ad andare a giocare. “Va, gioca, gioca!” .Servillo  è definitivamente conquistato da Puccini. “Come si fa a non notare la portata rivoluzionaria di un testo come questo? Nessuno ha fermato quel pazzo di Puccini mentre racconta di una madre che per amore si ammazza lasciando suo figlio solo al mondo? Nessuno ha notato quanto tutto ciò fosse avanti coi tempi? “.

Nell’arco dei sessanta minuti di spettacolo  lo scettico Servillo deve ricredersi, si abbandona alla bellezza della musica e manifesta la gioia di essere stato smentito da se stesso.
Gran finale con Il ‘coro muto’ a bocca chiusa di Madama Butterfly,  un ricamo musicale  di astratta raffinatezza  timbrica mentre gli archi accompagnano con leggeri pizzicati, a esprimere tutto il dolore della protagonista, simbolicamente privata anche del sollievo della parola. Uno dei momenti più celebri dell’intera opera pucciniana quando Butterfly, stremata dall’attesa,, si abbandona al sogno del ritorno di Pinkerton, Un brano che è stato eseguito in maniera magistrale dalla orchestra, diretta con eleganze e piglio sicuro dalla Fratta che ne dà una lettura pulita, nitida, priva di quegli orpelli retorici che troppo spesso appesantiscono le interpretazioni del capolavoro pucciniano. Applauditissimi a lungo tutti. E qualcuno fra il numerosissimo pubblico entusiasta esclama: Viva Puccini!

Di Cristina Tirinzoni

Giornalista professionista di lungo corso, ha cominciato a scrivere per testate femminili (Donna Moderna, Club 3, Effe, Donna in salute). E’ stata poi per lungo tempo redattore del mensile Vitality e del mensile Psychologies magazine e Cosmopolitan, occupandosi di attualità, cultura, psicologia. Ha pubblicato le raccolte di poesie Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore, 2014) e Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni, 2010).

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