İmamoğlu riprenderà ad amministrare la città simbolo, ma l’attende lo scenario cui punta il suo storico partito: riprendersi la guida del Paese

“Ha vinto la democrazia” dice il sultano in persona, parlando da presidente e non da leader dell’Akp per attenuare il ridimensionamento che la sua creatura politica subisce con queste amministrative. L’ipotesi di riprendersi quello che vent’anni addietro era suo e aveva resistito sino allo scossone delle municipali del 2019 è nuovamente naufragato. Istanbul, Ankara, Izmir restano saldamente in mano ai sindaci del maggiore partito d’opposizione Chp, che vince in 35 città su 81, mentre il partito di governo si prende 13 grandi centri e 12 minori. E il computo dei voti, ancora parziale e da confermare, vede lo stesso Partito Repubblicano sopravanzare quello della Giustizia e Sviluppo di due punti percentuali: 37,74 contro il 35,49%. Il successo e il sorpasso avvengono nelle aree dove l’Akp aveva un radicamento consolidato: Bursa, Balıkesir, Denizli, Uşak, Kütahya, Kırıkkale, Afyonkarahisar. La conferma maggiore, con cittadini in strada a festeggiare sin dalla notte, si verifica nelle città simbolo del Paese, Istanbul e Ankara, dove Ekrem İmamoğlu e Mansur Yavaş hanno surclassato i rivali. Se nella capitale il bis di Yavaş era dato per scontato, nella metropoli sul Bosforo lo scarto fra i candidati veniva considerato minimo. Eppure il sindaco uscente ha votato sul ministro che Recep Tayyip Erdoğan gli aveva opposto (Murat Kurum) e con questo risultato la presunta stella della politica turca riceve una collocazione definitiva sulla scena nazionale. İmamoğlu riprenderà ad amministrare la città simbolo, ma l’attende lo scenario cui punta il suo storico partito: riprendersi la guida del Paese. Se avverrà nel 2028, secondo il normale calendario elettorale o per una crisi governativa sospinta da inflazione e crisi economica che attanagliano la nazione, lo vedremo. Certo è che l’elettorato turco urbano parla una nuova lingua, se lo faranno anche i cittadini dell’Anatolia rurale il sogno d’eternità tracciato dal premier-presidente sembra tramontare. Anche perché i suoi uomini, coloro che sceglie di rappresentarlo, non scaldano i cuori turchi, sono fedeli alla linea e alla patria ma non hanno carisma. 

İmamoğlu sì. I politologi lo valutavano positivamente anche nell’exploit di cinque anni or sono, se non avesse trovato ostacoli nella condanna inflittagli dalla magistratura e dalla corrente del partito che sosteneva l’anziano Kemal Kılıçdaroğlu, il testa a testa per la presidenza del maggio scorso con Erdoğan sarebbe stato il suo. Tutto è rimandato.  I pericoli che il sindaco del Corno d’Oro corre sono solo interni al suo partito. Sembra un paradosso, ma la politica insegna questo. Il nuovo corso del leader Özgür Özel dovrà valorizzare il volto più prezioso che il kemalismo mostra per riprendersi il Paese. Comunque la Turchia si conquista guardando fuori dai confini. Il sultano che ha pensato in grande sin da quando guidava anche lui Istanbul ha trovato consenso, mescolando il liberismo patriottico degli anni Ottanta del secolo scorso del conservatore Turgut Özal con l’identità cultural-religiosa e il ricorso del glorioso passato ottomano. Un mix sostenuto da alcuni ideologi del partito che la sua abilità e spregiudicatezza hanno cementato contro nemici esterni e interni. Le pianificazioni nazionali si consolidano con lo sguardo estero e la Turchia ha trovato in Erdoğan una figura dispotica, ma intuitiva e flessibile. Per gli sviluppi futuri peseranno anche le alleanze. Per sopravvivere negli ultimi anni l’Akp ha scelto l’inquietante presenza al suo fianco del nazionalismo dei ‘Lupi grigi’ rivestiti del perbenismo del leader Devlet Bahçeli. Ma anche questo personaggio sta facendo il suo tempo. Nella attuali amministrative l’Mhp non ha raggiunto neppure il 5% dei consensi,  sopravanzato dal partito Refah (6,1%) e da Dem, la nuova sigla del partito filo kurdo che resiste ai continui scioglimenti imposti per legge. Il successo in tre città storiche dell’est: Diyarbakır, Mardin, Van ripropone la sua  guida di quei centri, che talvolta per cavilli burocratici o imposizioni repressive sono stati sostituiti d’ufficio. Il Chp prosegue ad amministrare le città costiere del sud: Antalya, Adana, Mersin. Il rinnovamento della politica turca può partire da qui.

Di Enrico Campofreda

Giornalista. Ha scritto per Paese Sera, Il Messaggero, Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport, Il Manifesto, Terra. Attualmente scrive di politica mediorientale per il mensile Confronti, per alcuni quotidiani online e sul blog http://enricocampofreda.blogspot.it/ Publicazioni: • L’urlo e il sorriso, 2007 • Hépou moi, 2010 • Diario di una primavera incompiuta, 2012 • Afghanistan fuori dall’Afghanistan, 2013 • Leggeri e pungenti, 2017 • Bitume, 2020 • Corazón andino, 2020 • Il ragazzo dai sali d’argento, 2021 • Pane, olio, vino e sale, 2022

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