Il mito della Callas raccontato in un inedito progetto espositivo da cinque protagonisti del panorama artistico contemporaneo
La sua voce fa parte dell’impronta sonora del Novecento: un colore unico, irriducibile a qualsiasi categoria, con quel suo inconfondibile timbro aspro. ,E con la sua presenza scenica magnetica, quella capacità di scavare nelle parole, Maria Callas ha donato una forza espressiva senza pari alle eroine dell’opera, Verità drammatica a un vastissimo repertorio. Una diva irresistibilmente umana, piena di sentimento e fragilità. La sua vita, intensa e drammatica come una tragedia greca, in cui successo, amore, trionfi, cadute si alternano in una spirale vertiginosa. Come raccontare un Mito? Come raccontare la straordinarietà di Maria Callas nel centenario della sua nascita (2 dicembre 1923 a New York, da una famiglia di immigrati greci), quell’impronta indelebile che come donna e come artista ha saputo ispirare nel corso del tempo e ha lasciato nell’immaginario collettivo? Forse si può solo evocare. Come una sequenza di apparizioni e di immagini nel fulgido lampeggiare di una lanterna magica. Fantasmagoria Callas è il titolo scelto per la mostra con cui il Museo Teatrale alla Scala ricorda il grande soprano, che ha indissolubilmente legato il suo nome alla Scala. 23 titoli d’opera in 28 spettacoli – tra cui 6 inaugurazioni di stagione – portati in scena tra il 1950 Il termine Fantasmagoria riecheggia, infatti, una tecnica scenico-teatrale molto sofisticata per mostrare il soprannaturale, il fantastico.
Spiega Francesco Stocchi, curatore della mostra: “Ho immaginato – partendo da un assunto molto semplice, che Callas è una di quelle rare figure che non è stata ma è, e quindi anche sarà. Perciò abbiamo pensato di lavorare non tanto in maniera retrospettiva, non tanto partendo dagli archivi, così come è solito lavorare in modo eccellente il Museo del Teatro a Scala, ma evocandola. Evocandola innanzitutto oggi per raccontare che cos’è per tutti noi e poi anche evocandola nella sua complessità”. Spaziando tra arte, cinema, musica e moda, la figura di Maria Callas e la persistenza del mito emergono da una narrazione corale e multidisciplinare, pensata appositamente per l’occasione, attraverso l’interpretazione del musicista e compositore Alvin Curran, gli artisti contemporanei Latifa Echakhch e Francesco Vezzoli e del regista Mario Martone e lo stilista Giorgio Armani.
Con Fantasmagoria, Maria Callas torna dunque alla Scala e colma un vuoto. Una lunga assenza. La sua ultima “apparizione” al Teatro alla Scala, risale al 31 maggio 1958 dove ha interpretato l’opera Il Pirata di Vincenzo Bellini. Fu l’opera della rottura. Aveva debuttato alla Scala nel febbraio 1950, interpretando il ruolo di Aida, sostituendo Renata Tebaldi che si era ammalata. Con l’arrivo alla Scala cominciò così la fase più sfolgorante della sua carriera. il 7 dicembre 1951 inaugurò la stagione lirica interpretando Elena nei Vespri Siciliani di Giuseppe Verdi. Solo un mese dopo fu Norma. Che l’avrebbe consacrata la “divina”.
La mostra (allestimento di Margherita Palli) si apre con una selezione di costumi che il soprano ha indossato nel tempo, attualmente conservati presso l’Archivio storico del Teatro alla Scala. Ed eccolo il costume in seta marrone realizzato da Pietro Zuffi per Alceste. E quelli di Nicola Benois per Poliuto e Don Carlo. C’è perfino quello dipinto da Salvatore Fiume per Medea nel 1953. E ce ne sono anche ricostruiti dal corso di Sartoria Teatrale dell’Accademia Teatro alla Scala: sono quelli che indossò ne La traviata firmata da Luchino Visconti per la stagione 1954-55, disegnati da Lila de Nobili e perduti in circostanze non chiare.
Prima di iniziare il percorso, da vedere assolutamente l’interessante documentario, con la regia di Francesca Molteni e la curatela editoriale di Mattia Palma, che racconta i cinque progetti e il retroscena della fase realizzativa della mostra, attraverso la voce di Giorgio Armani, Alvin Curran, Latifa Echakhch, Mario Martone e Francesco Vezzoli. La mostra è divisa in cinque capitoli, ognuna delle quali si concentra su una diversa forma di espressione artistica.
Si comincia con la voce. II compositore e musicista statunitense Alvin Curran ha creato una tessitura sonora ambientata in uno spazio buio, basata su registrazioni originali della voce di Maria Callas, cercando di catturare le sfumature timbriche che hanno reso unica la sua interpretazioni e prendendo alcuni toni singoli, alti e bassi, e frammenti di sue registrazioni di pochi secondi, riesce a ricreare una composizione finale come una tavolozza di infinite sfumature. “Come il suono del vento o di un riuscello, la voce della Callas è fonte di ispirazione infinita che può trasportare in luoghi sconosciuti “, dice il compositore.
Si prosegue con l’installazione ‘Untitled (Tears)’ dell artista franco-marocchina Latifa Echakhch: come di fronte ad un sipario, attaccate ad un soffio di fili che scendono dal soffitto, ci appare una cascata di vetri e piccole perle bianche e rosse, come fosse una pioggia di lacrime e sangue. Che richiama la sagoma ‘fantasmatica’ del soprano, “la bellezza e il dolore, la passione umana e la tragedia, le lacrime di dolore e di felicità, distillate ora nei nostri ricordi”, spiega l’artista. nel Hommage à Maria Callas il regista Mario Martone ha realizzato un cortometraggio di 8 minuti densi che he racconta l’incontro tra Maria Callas e la scrittrice Ingeborg Bachmann (interpretata da Sonia Bergamasco). Milano gennaio 1956. Una giornata di pioggia. La scrittrice e poetessa austriaca Ingeborg Bachmann accompagnata da un amico assiste al Teatro alla Scala alla prova generale di Traviata con la regia di Luchino Visconti, la direzione di Carlo Maria Giulini e Maria Callas nel ruolo di Violetta. Ricorda Bachmann: “Ascoltavo e guardavo apatica, fino all’attimo in cui un movimento, una voce, una presenza simultaneamente provocarono in me il Ruch una scossa… Su quel palcoscenico c’era una creatura, un essere umano”. Quell’esperienza la scuote come una specie di folgorazione: che innesca una diversa visione delle cose. “Che cosa sia la grande arte, che cosa sia un’artista l’ho capito il giorno in cui ho ascoltato la .voce della Callas”.
Segue l’interpretazione di Francesco Vezzoli, un artista che si è sempre interessato all’immagine pubblica dei personaggi, al divismo, Maria Callas played La Traviata 63 times, un’installazione dove il volto di Maria Callas, stampato a laser su tela, si ripete per sessantatré volte. narra gli innumerevoli modi di essere della divina in varie pose che compongono un universo ricco di sguardi, di gesti. Ogni fotogramma in bianco e nero è arricchito da un ricamo metallico azzurro che intesse le ciglia in un artificio di make up. “La Callas è la Traviata anche quando non canta La Traviata”, afferma Vezzoli
L’ultimo capitolo è affidato a Giorgio Armani, un romantico, vaporoso abito da sera rosso realizzato per la collezione Privé del 2021, presentato come se fosse una scultura. “Ho pensato a un abito che rispecchiasse l ‘idea che avevo della sua voce e del suo canto, ma anche della sua passionalità, un vortice di passione, controllo e sentimento, timbro nitido e chiaro”, dichiara Giorgio Armani.
Maria Callas moriva a Parigi il 16 settembre 1977 a soli 54 anni. Un arresto cardiaco sospetto secondo alcuni, forse favorito dai farmaci che le servivano per dormire .Callas continua a vivere nel suo Mito. Nel rapimento che ancora oggi suscita l’ascolto della sua voce. “La scossa del 1956 provata da Ingeborg Bachmannsi è propagata con un ampiezza vertiginosa. A quella voce non facciamo che tornare, anche noi, incantati, disarmati, come scrive la filosofa Laura Boella nel suo luminoso saggio (Con voce umana, Ponte alle Grazie). E’ il manifestarsi drammatico, carnale, del mistero di una voce umana capace di vibrare dell’infinito nella finitudine del corpo. Di far deflagrare emozioni umane che continuano a risuonare attraverso i secoli.