Penelope si ribella ad Omero e al destino che le ha assegnato, imprigionandola nell’attesa di Ulisse
Fedele e saggia, costante nell’attesa Penelope ha atteso per vent’anni il ritorno del marito che, dopo
aver vinto la guerra di Troia, ha vagato per il Mar Mediterraneo sconfiggendo mostri e amoreggiando con ninfe, principesse e dee. E intanto che cosa faceva Penelope, chiusa in silenzio nella sua reggia?
Sappiamo, come ci racconta Omero, che passava il tempo a piangere e a scrutare l’orizzonte, per
scorgervi il ritorno di Ulisse, e che con astuzia affrontava le insidie e l’invadenza dei Proci, i pretendenti, avendo come unica alleata la tela, il sudario di Laerte, padre di Odisseo, che lei tesseva di giorno e disfaceva di notte per ingannare i Proci e rimandare nuove nozze. Ma cosa le passava veramente per la testa? Il ritratto che Omero fornisce di Penelope farebbe rizzare i capelli alle donne di oggi, la visione di una donna rimasta fedele al marito, per vent’anni pazientemente nell’attesa del suo ritorno.
Nel monologo L’appuntamento A tu per tu con Penelope, andato in scena al Teatro Litta, dal 21 al 26 febbraio (nella scrittura a quattro mani del testo, con arguzia, Rossella Rapisarda e Fabrizio Visconti ci portano fuori dallo schema classico caratterizzando la figura di Penelope con una sensibilità tutta moderna. E in un’ottica rigorosamente femminile. Penelope finalmente parla. Oggi Penelope è in crisi, e si domanda che senso abbia la sua esistenza. Davvero era valsa la pena attendere per venti anni? Persa in mezzo al mare ad aspettare, avviluppata in un groviglio di fili che sono diventati spesse cime d’ormeggio che la imprigionano e nel quale si muove a fatica. Le bianche braccia protese in avanti a guardare quel mare sconfinato dove da vent’anni aspetta che compaia la nave del ritorno di Ulisse.
Arrovellata nel dubbio. Lui non è tornato. Dov’è Ulisse? Perché non è ancora tornato? È ancora vivo?
No, la saggia paziente, devota regina di Itaca, non è felice, le affiora il dubbio, la paura di star sprecando la vita e la propria più profonda natura. Penelope si ribella al suo creatore Omero, al ruolo assegnatole più di due mila anni fa. Vuole cambiare. Andare alla ricerca della sua identità e della sua libertà.
A pesare sulle sue spalle, è la stanchezza infinita della solitudine. Per vent’anni da sola è stata Regina di
un regno senza Re, moglie di un marito assente, anche il figlio Telemaco adesso è un ragazzo di vent’anni e ha deciso di partire alla ricerca del padre. Penelope è invecchiata (nell’Odissea invece Penelope, grazie all’intervento della dea Atena, non invecchia così da rimanere sempre bella e giovane per il marito). I suoi capelli sono imbiancati. E’ una donna che, come tutte, subisce il trascorrere del tempo, che la cambia sia fisicamente che mentalmente. E ha reso più fragile il suo cuore, la sua algida determinazione, rendendola consapevole del tempo che è passato, della sua bellezza che sfiorisce.
Quando partisti ero una ragazza, anche se dovessi tornare immediatamente, ti sembrerò diventata una
vecchia”. E pensa fra sé: “Non arriva? Meglio. Se torna, riparte subito”. Affiora Il rimpianto. “Mi sarebbe
piaciuto invecchiare insieme, vedere come saremmo cambiati insieme”. Affiora la sua collera contro
Ulisse che ritarda il ritorno a casa anche a causa delle donne che l’uomo ha incontrato durante il ritorno
da Troia. Ne ritrova i nomi scritti nei messaggi racchiusi nelle bottiglie che le capitano tra le mani e delle quali viene descritta la bellezza: Nausica, Calipso, Circe, e ne è gelosa . Viaggia anche lei come l ‘amato sposo: attraversa le onde impetuose della rabbia, della solitudine, e della nostalgia di un passato lontano, ma anche del risentimento. Verso una nuova consapevolezza. Davvero brava Rossella Rapisarda. Poetica, melanconica e autoironica, in una narrazione vivace, e piena di ritmo, che concilia leggerezza e drammaticità, e, nonostante la difficile postura assunta per esigenza scenica, naturale nei movimenti. Una messa in scena essenziale, surreale e arcaica al tempo stesso, in cui spicca un grande globo raffigurante una luna illuminata dalle luci cangianti, luci che riverberano un magico effetto visivo anche quando sono puntate sull’originale abito (costumista Mirella Salvischiani) che avvolge l’attrice trasformando le spesse corde in preziosi arabeschi. Marco Pagani si è occupato delle musiche che spaziano tra diversi generi musicali. Tra queste, azzeccatissima, la canzone L’appuntamento di Ornella Vanoni che sottolinea la condizione della protagonista e il verso struggente: “Ridammi la bellezza dei miei vent’anni” cantata da Roberto Vecchioni. Una decostruzione puntuale e irriverente, ironica e insieme sapiente dell’archetipo dell’attesa di Penelope. Impossibile non identificarci in questa Penelope. Rappresenta in pieno la donna fedele anzitutto a se stessa, che vive la necessità di un cammino rischioso e doloroso per il raggiungimento di una completa consapevolezza di sé, senza rimanere fissata in stereotipi che la imprigionano.